Toponomastica pesarese
Metà dei pesaresi di una certa età ha fatto le medie al “Lucio Accio”, l’altra metà al “Picciola”. È un assioma incontrovertibile perché fino a metà anni ‘60 le scuole medie della città erano solo le due storiche di Piazzale Matteotti e di Piazza Del Monte. Ovviamente questo valeva per i rampolli delle famiglie benestanti (a volte anche per i ragazzi più bravi) che non smettevano la scuola con la licenza elementare, per andare a fare i garzoni in qualche bottega artigiana, e che sostenevano il temuto “esame di ammissione alle medie”. Un’altra quota di meno fortunati si “avviava” all’Avviamento (la scuola che preparava a un mestiere) oppure alla Scuola d’Arte per diventare maestro d’arte e fare l’artigiano, più di rado l’Artista con la “A” maiuscola. Poi, nel 1963, l’obbligo scolastico fu portato a 14 anni e le scuole medie sorsero in tutti i nuovi quartieri mentre le due medie del centro storico si spensero una dopo l’altra. Il “Lucio Accio” assorbito dal sovrastante Liceo Classico (del quale un tempo costituiva le prime tre classi ginnasiali), il “Picciola” cambiò nome (tanto chi era mai questo Picciola? Si saranno chiesti i nostri provvidi amministratori) e la scuola fu intitolata al più attuale don Gianfranco Gaudiano, al quale peraltro poteva essere intitolata una delle nuove scuole medie in costruzione. Grandi nomi della cultura pesarese hanno insegnato nelle due medie storiche, contraddistinte da quell’antica serietà e maggiore interesse per lo studio che contraddistingueva la scuola fatta per scelta più che “dell’obbligo”.
Ma “sic transit gloria mundi” ed è forse il caso di rispolverare il personaggio Giuseppe Picciola. Nato a Parenzo (oggi Porec) in Istria nel 1859, Picciola fu un patriota “irredentista” (questa strana parola, poco conosciuta ai giovani d’oggi, significa che desiderava che le terre istriane e dalmate di lingua italiana, perché già veneziane, fossero “redente” e tornassero a unirsi all’Italia); tanto che, perseguitato dagli Austriaci, andò esule nel 1878 a studiare letteratura italiana all’università di Pisa. Il “matrimonio” con Pesaro scaturì dal suo amore per Beatrice (Bice) Vaccai, della nobile e nota famiglia pesarese, che sposò nel 1891. In questa circostanza fu edito un libretto di Diego Passeri-Modi, Nozze Vaccai-Picciola: sonetto di Diego Passeri-Modi, Stab. Federici, Pesaro 1891. Scolaro del Chiarini e del Carducci, Picciola espresse nei Versi (1884 e 1890) e nelle Rime (1899) la tristezza del suo lungo esilio. Si batté poi con pubblici discorsi per la ”redenzione” delle terre istriano dalmate. Pubblicò un centinaio di Recensioni, in prosa tersa e colorita, fra le altre: Stanze dell'Orlando furioso (1883), i Letterati triestini (1893), Giosuè Carducci (1901), Matelda (1902), l'Antologia Carducciana (1907), Poeti d'oltre confine (1914). Carducci in particolare, con i suoi poemi storici e patriottici lo affascinava e ne divenne estimatore e amico. Dopo avere insegnato nelle scuole di Pesaro, nel 1909 divenne preside al Liceo G. Galilei di Firenze. Morì a Firenze nel 1912, riposa nel cimitero italiano di Umago, presso Parenzo. Pesaro l’ha onorato intitolandogli una scuola media e una strada in centro città.
Chissà quante volte dalla cima del S. Bartolo il nostro “Peppe” avrà guardato con nostalgia di là dal mare, verso le case di Parenzo? Questo succede ancora oggi a tanti “profughi” istriani e dalmati italiani i quali hanno lasciato le memorie della loro infanzia su quelle coste bagnate dallo stesso mare Adriatico che, speriamo, sia sempre di più un ponte, e non una divisione, con quelle terre dove Italiani, Sloveni e Croati vissero in pace per secoli durante il governo tollerante della Serenissima.
L’amico e collega insegnante di liceo Guido Mazzoni gli dedicò varie poesie, pubblicate poi a Bologna, presso Nicola Zanichelli. In una, Rimorsi, gli confida tutto lo sconforto di educatore alle prese con studenti poco sensibili ai temi della patria.
Rimorsi
A Giuseppe Picciola.
Hai tu rimorsi, professor Picciola?
Aspri io li sento in me, quando la faccia
Torbida levo ed urlo la minaccia
Tiranneggiando il regno della scuola.
Fremono i nervi; l'anima s'invola
Per la vita, del sol cupida in caccia:
Ma il corpo immoto ed il pensier s'agghiaccia
Nel lento distillio della parola.
Noi vorremmo addestrar gli arditi e umani
Commilitoni, e questo ozio saccente
Le membra e la natia virtù ci fiacca:
Noi cicaliam de' Greci e de' Romani,
E ci daremo molto dottamente
Una progenie stolida e vigliacca.
Luciano Baffioni Venturi