L'osteria della Posta a Pesaro, in Via della Posta Vecchia (oggi Via Mazza), subisce un piccolo furto nel 1726: al capitano Giuseppe Pattarini, diretto alla Fiera di Senigallia, vengono rubati nella notte del 10 luglio “gli calzoni con cinque zecchini e tre ungari cuciti nella cintola, et un testone nella sacoccia”. A ritrovare l'indumento è un cameriere, che poi verrà accusato di essere il reo e catturato dagli sbirri. L'oste, che è tenuto ad indennizzare “gli pasaggieri quallora vengono nell'osteria derubbati senza alcuna frattura”, sborserà l'equivalente in scudi delle monete trafugate. Di ritorno dalla stessa Fiera, la sera del 29 luglio 1738, scende all'osteria della Posta Rafael Gottin, mercante milanese. Egli ha dietro il sedile del calesse un baule legato con corde e catena che vorrebbe portare nella stanza che gli è stata assegnata, ma non lo fa perché l'oste garantisce che nella rimessa il baule è al sicuro. Nella notte però qualcuno forza la serratura della porta della rimessa, taglia le corde che assicurano il baule al sedile del calesse, scioglie la catena, rompe a forza le “bardelle” e apre il baule. Dentro vi sono 105 zecchini veneziani e 195 simili fiorentini, 2.197 paoli d'argento, 52 testoni, 2 fioroni e 380 scudi d'argento. Il tutto per un totale, in moneta romana, di 1.377 scudi e 75 baiocchi. Il ladro svaligia tutto, impossessandosi anche di due posate d'argento, un orologio da tasca e due pezzi di cioccolata. Denunciato il furto al Podestà questi riconosce da alcuni indizi che il ladro è penetrato nella rimessa dall'interno. Così fa arrestare otto famigli in servizio all'osteria, che qui hanno dormito, ma non il suo titolare perché ha un alibi inoppugnabile, mentre in prigione finisce anche un “pezzente” forestiero che quella sera era stato visto vicino all'osteria. L'indagine per recuperare la refurtiva è accurata. Vengono perquisite le case dei famigli, messa a soqquadro l'osteria e le rimesse, frugato nei due pozzi del cortile, controllati tenaglie e martelli della casa per rintracciarvi qualche “segno di sgranatura o sforzatura stante la rottura delle bardelle del baullo”, ma tutto inutilmente. A quaranta giorni del furto, grazie a un'istanza presentata al Podestà dal “maestro della posta”, un uomo viene arrestato perché gli vengono trovate in casa monete per un valore di 656 scudi romani. Il “maestro della posta” l'ha tacciato di ladro, ma egli può provare la provenienza lecita di tanto denaro e a finire in gabbia in sua vece sarà lo stesso delatore che, inquisito assieme al suo stalliere dal Sant'Uffizio, si accuserà “spontaneamente” del furto all'osteria. Egli è dunque il vero colpevole, ma ha subito l'interrogatorio in carcere, dove non mancano gli strumenti di tortura per far confessare i presunti rei. I nove prigionieri vengono così scarcerati e liberata viene altresì una donna che per procurare un alibi al marito, a suo tempo indagato per essere dipendente dell'osteria della Posta, aveva mentito sull'ora del ritorno di questi a casa la notte del furto.
Marco Battistelli
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