La libertà di espressione
Dalla vicenda delle vignette satiriche sul profeta Maometto pubblicate su giornali europei e con le reazione violente che hanno suscitato in molti paesi a maggioranza islamica si ricavano almeno un dato certo ed alcune questioni aperte. Un primo dato certo: le ambasciate e le sedi diplomatiche internazionali sono protette dal diritto e dalle convenzioni internazionali addirittura anche in situazioni di guerra; assaltarle non può essere consentito a nessuno e va assolutamente impedito anche con un uso proporzionato della forza. Un altro punto fermo riguarda la libertà religiosa. Il presidente Ciampi, nell'apprezzabile tentativo di conciliare e mediare, è intervenuto sostenendo che la libertà di espressione deve trovare un suo limite nella libertà religiosa, come a lasciar intendere che quest'ultima libertà possa risultare violata dalla pubblicazione di articoli o vignette satiriche. Cos'è però la “libertà religiosa”? La filosofia politica e il diritto la definiscono come libertà, concessa da uno Stato a singoli o a gruppi, di professare e praticare il proprio credo pubblicamente. Ma allora, nel caso in questione, come si potrebbe sostenere che la pubblicazione di vignette dissacranti violi la libertà religiosa? Si dovrà piuttosto dire che è di cattivo gusto e che offende la sensibilità religiosa: cosa, per altro, senza dubbio riprovevole ogni volta che avviene, tanto in Oriente quanto in Occidente, ed ogni volta che tocca i simboli e i protagonisti di ogni religione. Quanto invece alla libertà religiosa in senso proprio, chi oggi la viola davvero sono proprio alcuni di quei Paesi ove ora si reagisce violentemente contro le vignette “blasfeme”, ma che in certi casi, oltre a non consentire una libertà di espressione e di stampa, non permettono appunto un libero esercizio pubblico delle professioni religiose diverse da quella dominante alla quale si ispirano. Naturalmente occorre nel contempo stare bene attenti a non generalizzare. Occorre separare le religioni e le loro strumentalizzazioni politiche, distinguere fra Stato e Stato, fra ambienti fondamentalisti (spesso eterodiretti) e resto delle popolazioni.
Vi sono poi alcune questioni aperte, a cominciare dal problema della reciprocità e della libertà di espressione. Va richiesto o meno che il riconoscimento dei diritti (fra cui la libertà religiosa) sia reciproco? Ma come poterlo ottenere davvero? Con quali strumenti? I cristiani, come tali, in questo si trovano in una situazione debolissima: anche di fronte a chi brucia le loro chiese o uccide i loro preti, la loro stessa identità costitutiva sembra non consentire ai cristiani se non di testimoniare la propria fede nella pace e nella condivisione. Ed anche gli Stati europei hanno certo dei limiti nella loro possibilità: se non vogliono tradire se stessi e la loro identità, non possono negare la libertà di espressione e di religione a un musulmano per il fatto che tale libertà nel suo paese d'origine non è garantita a un cristiano. Qualcos'altro però gli Stati europei o la stessa Unione europea potrebbero farlo: iniziative economiche forti, atti diplomatici pesanti.
Altra grande questione è la libertà di espressione. Quest'ultima può/deve avere dei limiti? Ad esempio, in molti Paesi europei la legge vieta espressioni di pensiero che esaltino ideologie razziste o violente o che neghino i crimini nazisti (vedi il caso dello storico David Irving, recentemente arrestato in Austria per le sue tesi negazioniste sull'Olocausto). Anche l'offesa alla sensibilità religiosa può costituire un limite alla libertà di espressione? In uno Stato laico e non laicista (cioè in uno Stato garante delle credenze di tutti su un piano di parità), forse sì. Certamente un limite assoluto va posto alle provocazioni volontarie, come quella dell'ex ministro Calderoli che ha esibito in TV le vignette sui propri abiti. Ben inteso però che il gesto di Calderoli, seppur sbagliato, non può minimamente giustificare reazioni violente contro le persone o le sedi diplomatiche.
Infine, giorni fa un giornale italiano (Il Manifesto) pubblicava una vignetta avente come oggetto un momento fondamentale della fede cristiana, vale a dire la crocifissione: Cristo al centro crocifisso, nelle mani appese alla croce ha due pistole con cui spara ai ladroni alla sua destra e alla sua sinistra esclamando “Sorry, è la nuova legge” (con evidente riferimento satirico-polemico alla recente legge italiana che estende i confini della legittima difesa). Lo notava recentemente su “La Stampa” M. Gramellini, dichiarandosi fortunato perché “nel nostro continente la tolleranza laica e la carità cristiana garantiscono libertà d'espressione a tutti”; e si chiedeva “se è segno di evoluzione oppure di declino riuscire a sorridere di ciò che per altri, o magari anche per noi stessi, è sacro”. Alla domanda aperta dell'acuto giornalista, vorrei aggiungerne un'altra. Il fatto che nel nostro mondo occidentale, di cultura e tradizione cristiana, una vignetta come quella del Manifesto non susciti, non dico reazioni violente, ma nemmeno una diffusa indignazione cosa significa? Lo si può spiegare con un fattore storico intervenuto, per così dire, dall'esterno in età contemporanea (vale a dire una “contaminazione” subita dal cristianesimo da parte della secolarizzazione laica)? Oppure lo si può ricondurre a qualche elemento in qualche misura implicito da sempre nella natura stessa del cristianesimo, come una sua tendenza “secolarizzante” interna? O forse potrebbero valere entrambe le cose?
Samuele Giombi
I pericoli del fanatismo
A seguire la vicenda delle vignette scandinave accusate di blasfemia, sembra di assistere all'incendio d'una città causato da un soffritto. E' evidente che le accuse, le violenze, la retorica, e purtroppo le morti seguite alla vicenda, hanno ben altre origini. Di certo l'odio cova in altri focolai, vuoi le guerre in Medio Oriente, vuoi l'imperialismo economico occidentale, tanti fattori che irritano i dorsi su cui viaggiano le mosche cocchiere. A delle vignette ritenute offensive si dovrebbe rispondere con altre vignette. Che senso ha spostare la competizione su altri piani? Solo il senso del fanatismo, evidentemente privo di matite. Anche nel variegato mondo dell'Islam, così come tra i cattolici e tutti gli altri religiosi, vive il fanatico. Se il fanatico grida all'offesa e alla vendetta non è certo ispirato dalla fede bensì dall'urgenza di difendere i propri privilegi o di trovare il modo d'incanalare la violenza per scopi politici.
Chi in Italia si accalora contro i musulmani sbaglia, così come chi scusa i fanatici affermando che quelle vignette “li provocano”. Basta fare una rapida ricerca in Internet sulle vignette per capirlo: non ne troverete quasi traccia, vedrete invece immagini di roghi, di bandiere danesi calpestate, di folle inferocite. Dove sono le vignette così tanto provocanti? Chi le ha viste? Eccole: basta cercarle sul sito del giornale Jyllands Posten, dodici insipide caricature di Maometto. Del tutto legittime com'è legittimo per tutti interpretare un personaggio storico o uno fantastico. Un Maometto che tira un asinello, un altro che attende i martiri musulmani in paradiso ma che è spiacente di annunciargli che sono finite le vergini, un altro con un turbante dal quale spunta una miccia: semplice satira politica oltretutto all'acqua di rose.
Quando invece la satira è “tosta” colpisce nel segno, lo sappiamo anche in Italia, dove di recente si è fatto in modo di cancellare ogni apparizione televisiva di Sabina Guzzanti e di altri comici. Inoltre anche in Italia sono sempre fioccate le denunce per “offesa” e “vilipendio” alla religione (articoli 278-313 Codice penale) al solo scopo di intimidire e perseguire chi si permetteva di criticare il conformismo cattolico in tutti i campi, dalla politica, ai mass-media. Nonostante la religione cattolica non debba essere più ritenuta "religione di Stato" dall'anno del Concordato (1984), l'Italia pullula di denunciati più o meno noti: da Benigni al Trio Marchesini- Solenghi-Lopez, al disegnatore Vauro, per una vignetta del quale anche il Meeting anticlericale fanese fu “punito”, nel 1994, pur con la dimostrazione che la vignetta in questione era già stata pubblicata da un quotidiano nazionale. In quell'occasione schioccò la esorbitante condanna ad un anno per vilipendio al papa, e solo in appello, nel 1998, si riuscì a dimostrare l'illegalità della procedura giudiziaria. Nel frattempo vigeva un'atmosfera largamente inquisitoria, anche con messe di preghiera, calunnie, boicottaggi nel classico stile integralista cattolico, meno cruento ma altrettanto pervicace. E se gli integralisti cattolici sono meno cruenti ora, non lo sono stati...in passato! (E non certo a causa della loro ispirazione cristiana ed altruistica, che spesso si vorrebbe contrapporre ad un Islam caricaturale). Era chiaro che, anche nel caso italiano, la divinità non c'entrava niente: si voleva usare il mezzo giudiziario per reprimere un'attività che stava diventando socialmente significativa e fastidiosa: i meeting anticlericali.
Strana bestia, la suscettibilità: funziona come nell'aria rossiniana di Basilio "La calunnia è un venticello". Così dal pretesto di una vignetta irriverente, si gonfia l'orgoglio e l'intolleranza di chi crede di avere privilegi in quanto credente, e pensa di poter indurre tutti gli altri ad offrire in sacrificio alla sua divinità il senso critico. Per non parlare della "provocazione": sacra parola spesso invocata da omicidi, stupratori, guerrafondai, per giustificare la propria inaccettabile violenza verso chi non si genuflette e non recede. Cos'abbiamo allora di "sacro" in Occidente, da difendere, oltre alla satira ed al diritto alla libera espressione a-confessionale? La democrazia? Che parola grossa per società che hanno visto i peggior dittatori eletti... democraticamente. Ora vorrebbero esportarla ovunque come una merce: dimenticando che, qualsiasi significato essa possa assumere, non si esporta con i militari o i dogmi religiosi ma semmai si comunica con il sapere politico, i poeti, i filosofi, gli artisti, gli scienziati e - perché no - la buona cucina e i vignettisti scomodi.
Francesca Palazzi Arduini
L'ironia non è offensiva
Mi domando se il presidente della Repubblica, il papa, i politici, gli attori, i poeti, le altre personalità eminenti (o comunque, chiunque sia stato oggetto di una satira o di una vignetta umoristica) abbia finto di non offendersi o, invece, sia stato sincero oppure, addirittura, ne sia rimasto contento, dato che l'ironia non ha nulla di offensivo; anzi, può essere gratificante, poiché testimonia la considerazione, benevola, intelligente, divertente, del personaggio implicato. Hanno basato il proprio messaggio e la propria arte sull'ironia autori geniali come Dante, Angiolieri, Ariosto, Galilei, Goldoni, Manzoni, Pirandello, solo per citarne qualcuno e solo se guardiamo fra i letterati; hanno scherzato con simpatia su divinità, ora “intoccabili”, scrittori di canzoni della levatura di Renato Carosone; e il discorso potrebbe continuare.
Oggi, però, all'improvviso, scopriamo che le vignette satiriche sono dissacranti. Certo, si può obiettare che, se per una certa mentalità male non c'è, ve ne può essere per un'altra. Ma perché, fino ad oggi, nessuno è insorto, gridando allo scandalo, per scherzi analoghi? Inoltre, ci vogliamo mettere d'accordo su che cosa significhi questo rispetto altrui e sui precisi limiti della libertà di parola, di opinione, di espressione, insegnando ai nostri figli che non è vero che ognuno possa trattare l'Umanità secondo i propri contorti modi di vedere e la propria sedicente cultura? E se io affermassi di essere sommamente offesa dalle tristemente famose pratiche barbare, perpetrate ai danni delle donne o anche solamente dall'obbligo del chador, chiaro segno di un'educazione fuorviante poiché tesa ad inculcare una sottomissione del mondo femminile, innaturale ed ingiusta? E se pretendessi che, prima di ogni religione, si rispettasse, appunto, la Persona, con le sue prerogative di Dignità, Libertà ed Uguaglianza, valori indiscutibili ed universali?
Non me la prendo, ovviamente, con questa o quella fazione (il termine è quanto mai appropriato, poiché stiamo tornando nel Medioevo!), ma con chiunque approfitta di ogni minimo evento, per dichiarare guerre sia di religione sia politiche, con chi strumentalizza per vincere. Ma vincere che cosa, arrivare dove, se non ci accorgiamo che ci stiamo attirando, l'una e l'altra parte, odi e rancori, e che stiamo, quindi, preparando la nostra reciproca e completa distruzione? E' vero: dobbiamo essere cauti, ora che l'atmosfera è incandescente e le scintille vagano sempre più numerose; ma chi ha reso quest'aria irrespirabile, chi non ha saputo evitare che ci soffocasse? Ci rendiamo conto, finalmente, che non l'arroganza, l'orgoglio, l'attacco, la forza, bensì la pazienza, la diplomazia, il prevenire, la tolleranza, l'educazione (ed il tempo che occorre per arrivarci!) sono le vere armi per difendersi? Non abbiamo voluto vedere che la guerra avrebbe generato altre guerre; ora siamo vincolati alle bugie, e forse non ne siamo nemmeno consapevoli. Siamo obbligati, ufficialmente, a riconoscere che la satira è offensiva, che la libertà ha restrizioni che, fino ad ieri, non conoscevamo; siamo costretti ad insegnare ai nostri giovani che ognuno ha la sua verità, da accettare acriticamente, senza saperla giustificare e senza poterla discutere! Siamo giunti al punto che, per la paura di vederci strappare le nostre convinzioni che, legalmente, umanisticamente e ragionevolmente, non sappiamo più difendere, siamo disposti a distorcere i concetti più semplici e radicati: come è successo col Crocifisso (simbolo religioso per eccellenza!) a cui abbiamo dovuto, addirittura, strappare la divinità, per vedercelo ancora attaccato alle pareti.
Regina Taccone