Mario Mancigotti, appassionato di storia dell’arte e studioso dell’opera di Simone Cantarini, sostiene da tempo che il quadro “Madonna del rosario” ospitato presso la Pieve di Candelara sia stato eseguito appunto dal Cantarini e non dal Ridolfi, al quale viene attribuito dagli esperti. Su questo tema pubblichiamo il suo intervento e la replica della nota storica dell’arte Grazia Calegari.
La splendida pala d’altare esposta nel presbiterio della chiesa di Santo Stefano nel ridente colle di Candelara di Pesaro è stata sempre considerata opera autografa di Simone Cantarini “Il Pesarese” (cfr. Mario Mancigotti, 1975 “Simone Cantarini” - Banca Popolare Pesarese) fino al 1994, anno in cui la nota concittadina storica dell’arte Grazia Calegari la rivendicò a Claudio Ridolfi in occasione di una mostra a Corinaldo dedicata al “Veronese” ma naturalizzato marchigiano per la lunga permanenza ed attività nella nostra regione. Tale nuova attribuzione è rimasta confermata nel 1997 quando il Cantarini ebbe degna consacrazione con la prestigiosa mostra dedicatagli in Palazzo Ducale di Pesaro “Simone Cantarini nelle Marche”. Ma quale appassionato studioso dell’artista fin dalla tesi di laurea nell’ateneo di Urbino nel lontano 1946 non ne sono convinto e continuo a ritenere l’opera cantariniana (cfr. “Il Pesarese ed i suoi capolavori, 2006, W. Stafoggia Editore), adducendo le seguenti argomentazioni a sostegno:
1) Il manoscritto dell’abate Buresti risalente al 1857 riguardante memorie della Pieve di Candelara, sul quale si basa la nuova attribuzione, è quanto mai contraddittorio in quanto in apertura si dichiara che “si ha fondata ragione di credere che sia di mano del nostro Simone Cantarini”, mentre al contrario successivamente si informa di un intervento del Ridolfi, di passaggio a Pesaro sul volto della Madonna, su Gesù e sugli angeli.
2) Il primo giudizio attributivo non può che essere stato espresso dai due restauratori della Pala, Giovanni Pierpaoli di Fano e Giuseppe Gennari di Pesaro, entrambi conoscitori ed estimatori dello stile del “Pesarese”.
3) Un interessante disegno di Simone Cantarini preparatorio della pala a sanguigna conservato nel Gabinetto di Disegni e Stampe al Museo del Louvre. Da notare la presenza di due figure di santi abbozzate e che ricevono il dono dei rosari che fanno ritenere la pala di Candelara incompiuta.
4) Un raffronto tipologico del volto della Madonna con quello dei “Riposi in Egitto” (Brera, Louvre, Pesaro) o con “La Sacra Famiglia” (Roma, Galleria Colonna).
5) La breve permanenza del Ridolfi di passaggio a Pesaro ospite in casa di Girolamo Cantarini, del tutto insufficiente a completare la vasta composizione della Madonna con Gesù e la corona di angeli.
6) L’età avanzata del Ridolfi settantenne che rende poco credibile la fatica della trasferta quotidiana a Candelara e della difficoltà pratica di operare su una impalcatura, stante l’altezza di oltre tre metri della pala. Infine l’incompatibilità di un simile sgarbo offensivo con la qualità di ospite della famiglia Cantarini.
7) Da ultimo assume un significato quasi scaramantico il fatto che la pala sia collocata al centro ed affiancata da due dipinti del Pandolfi e del Venanzi, rispettivamente primo maestro e prediletto allievo di Simone. Il Ridolfi si troverebbe a disagio in quel posto!
Il dibattito dunque è aperto e si presenta di indubbio interesse per la città di Pesaro.
Mario Mancigotti
Quell’opera è di Ridolfi
Riprendo ancora una volta il discorso sulla tela di Candelara, sollecitata dal gentile direttore de Lo Specchio della città. Rimando comunque, per l’analisi completa dell’opera, al catalogo della mostra “Simone Cantarini nelle Marche”, Venezia 1997, e qui mi limito a ripetere solo alcune essenziali considerazioni. L’attribuzione al Ridolfi, nata col restauratore Giuseppe Gennari, si basa anzitutto sul confronto con opere del veronese, alcune conservate a Verona (tela di San Carlo, “Adorazione dei pastori” del Museo di Castelvecchio, tele del Seminario Vescovile, della Sagrestia dei Canonici in Duomo, “Annunciazione” di S. Eufemia), altre nelle Marche (Madonne in S. Croce di Ostra e in S. Francesco a Corinaldo). Sono totalmente ridolfiane anche le mani, l’aureola sul Bambino, e le Gerarchie angeliche perfettamente sovrapponibili a tele del Ridolfi che sarebbe troppo lungo elencare, così come gli angioletti danzanti. E ancora il paesaggio con castello, e i colori dell’abito e del mantello, sono esclusivamente ridolfiani. Difficile invece accostare ad opere di Simone, come quelle citate da Mancigotti, le tipologie presenti a Candelara. L’incontro tra il vecchio maestro veronese e il giovane Simone può essere avvenuto nel 1627-28, quando il Ridolfi lavorava per l’altare maggiore della chiesa di San Paolo a Urbino. La conoscenza del veronese lascerà impronte venete sulla pittura di Simone Cantarini, che avrà poi occasione di frequentare la bottega urbinate di Claudio.
Queste poche annotazioni per ribadire un’attribuzione ormai consolidata e condivisa dagli attuali studiosi del Cantarini, che non c’entra con la tela di Candelara se non per un rapporto breve di alunnato presso il Ridolfi. Aggiungo che le tele venivano eseguite nelle botteghe, e non c’era alcun bisogno di recarsi ogni giorno a Candelara e tanto meno di arrampicarsi sull’impalcatura, esigenza tecnica tipica degli affreschi ma non certo delle tele mobili. Mi sembra opportuno ricordare anche che il Ridolfi visse e lavorò fino al 1644, quando aveva ottantaquattro anni.
Grazia Calegari