Basta con le chiacchiere
In questi tempi di “ricordi” spendiamo sempre più energie per dedicare feste in piazza perché non vogliamo dimenticare guerre, olocausti, eccidi di cinquanta anni fa e ci dimentichiamo delle condizioni di povertà di oggi in cui vivono tantissimi italiani come quelli che abitano nelle baracche “temporanee” dopo anni dagli eventi sismici, e in troppe regioni del nostro Paese esistono migliaia di opere iniziate e mai finite dalle nostre amministrazioni. Diciamoci la verità: nessuno denuncia questo stato di cose perché troppa gente ci mangia. E' giusto, per carità, ricordare le stragi di massa, sia quelle naziste (gli orrendi lager), sia quelle comuniste (gli spaventosi gulag), sia quelle titine (le atroci foibe). Certe mostruosità compiute in nome della razza, di un'ideologia o di un'etnia non si possono dimenticare. Tutti dobbiamo averle sempre presenti. Tutti dobbiamo onorarne le vittime ed esecrare i carnefici. La storia è memoria e guai occultare i suoi barbari eccessi e le sue folli nefandezze. Ma ci sono fatti e fattacci del passato che abbiamo il dovere di non far cadere nell'oblio, ma di archiviarli dopo averli giudicati. Non si vive (e non mi stancherò di ripeterlo) di soli morti. Bisogna avere il coraggio, e in Italia ce ne vuole tanto, di ribellarsi. Da noi tutto viene spudoratamente strumentalizzato a bassi fini personali o a inconfessabili scopi politici. Ogni pretesto è buono per farsi propaganda, per portare acqua, voti e potere al proprio mulino. In mezzo secolo non si è riusciti a sapere la verità su tanti fatti delittuosi: dalla morte di Mattei, nato ad Acqualagna e morto a Bascapè, alla tragedia di Ustica, dove perirono in mare tutti i viaggiatori e l'equipaggio di un aereo di linea, e ancora se ne parla. Il bello, cioè il brutto, il pessimo, è che chi ne parla non lo fa per amore di verità, perché non si rassegna alla menzogna, alla omertosa complicità, al depistaggio. Lo fa perché gli conviene e finché gli conviene. Lo fa per sottrarsi alle scomode attualità, alle pressanti contingenze, ai suoi doveri politici, se politico, ai suoi obblighi civili, se vive nella società. E questo con tutti i guai che abbiamo, con l'economia in panne, con gli scandali che mandano in rovina centinaia di migliaia di risparmiatori; con l'euro equiparato alle mille lire; con la giustizia che non rende giustizia o la rende a “babbo morto”; con il fisco che ti “ingola” come una garrotta; con gli ospedali (non tutti, per fortuna) ridotti a lazzaretti, per una Tac o una scintigrafia ossea aspetti una vita; con la scuola dove non si insegna, in barba alle infinite riforme che, invece di riformarla l'hanno sformata e deformata. Con una pubblica amministrazione inetta e cavillosa, arrogante ai limiti della protervia con i deboli e conciliante ai limiti del servilismo con i potenti. E ancora: con una classe politica senza classe, incapace di dirigere se stessa. Con un'opposizione che ha la sua forza nella debolezza della maggioranza e una maggioranza che ha la sua nella debolezza dell'opposizione. Due schieramenti – L'Ulivo e la Casa delle Libertà – che non si confrontano, si insultano; non si fidano, si sbranano. La gente non ci capisce più nulla, è frastornata, offesa, delusa. La gente non ne può più di chiacchiere, di promesse fatte e non mantenute. La gente chiede che chi la rappresenta e la governa faccia il proprio dovere. La vita è una cosa seria. E lo è, alla resa dei conti, conti che da noi non tornano mai. Sabato e domenica 12 e 13 giugno siamo chiamati alle urne per due tipi di elezioni: europee e amministrative. Non lasciamoci influenzare da quelli che non mantengono le promesse, dagli ipocriti e imbonitori, dai venditori di fumo. Ragioniamo con la nostra testa e votiamo secondo coscienza.
Angelo Ceripa
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