UN RUGGITO DEGLI ANNI VENTI
Longevità e benessere fisico. Chi avesse voluto la loro ricetta, avrebbe potuto rivolgersi a Lorenzo Leoni che, probabilmente l'avrebbe sintetizzata così: vita attiva e tanta bicicletta. Quella bicicletta che solo dal 1995, da ultranovantenne, ha appeso al chiodo e che ha surrogato col motorino per recarsi in centro, nella sua Cagli.
Leoni nacque nel maggio del 1903; mentre andava spegnendosi l'eco devastante della Grande Guerra, sentì l'impellente desiderio di comprare una bicicletta. Lo scopo non era proprio quello... sportivo: doveva infatti recarsi in un paese vicino a trovare una certa ragazza (di cui preferisce non parlare, poiché rimase poi vittima di un fulmine) ed anche adeguarsi un po' alla modernizzazione allora in atto. Così 98 lire dello scarno stipendio da lavoro di conceria se ne andarono in una fragile bicicletta. Quella comunque servì solo ad attizzare la vocazione del giovane Lorenzo, vocazione per la quale suo padre poi si "rovinò": gli acquistò infatti una nuova bici inglese "Shaterlear" tutta regolabile (300 lire, come a dire mezzo milione di oggi).
Era ancora fresca l'eco delle gesta del pesarese Adolfo Becci e del fanese Aldo Castellani, quando per lui si profilarono le prime gare locali (senza limiti di tesseramento e di età) a Cagli, a Scheggia e a Fossombrone, dove ottenne due terzi posti. Ma la vita era grama, lavoro e paga non soddisfacenti. Decise perciò di cambiare aria e si ritrovò in Liguria nel 1920 a trasportare a braccia esplosivi per le cave di roccia e marmo; cercò lavoro occasionale anche al porto di Genova, ma non si imbarcò per puro caso (un ritardo postale di un documento utile all'imbarco). Intanto con la sua bici, senza più tubolari e senza soldi, decise di recarsi presso una locale fabbrica della "Pirelli" dove un direttore alfine si commosse e gli regalò due tubolari. Poté così ricominciare ad allenarsi con tanti altri corridori genovesi al piazzale dell'"Acquasole". Si profilò la tradizionale gara Genova-Chiavari e ritorno, ma l'emigrante Leoni non aveva un minimo di attrezzatura. Fu allora che un dirigente di una società ciclistica (Omeri) gli procurò calzoncini e scarpette e così Lorenzo fu al via di quella classica, ma non solo al via: fu anche in fuga solitaria e buon terzo all'arrivo con il mega-premio di 80 lire per quel promettente inizio di carriera. Cominciarono le vittorie, purtroppo lontano dalle sue zone di origine: a Varazze, ospite dell'amico corridore Negrini, dopo aver dormito su un pagliericcio di granturco, vinse in una volata a cinque; fu anche primo nella Genova-Scofera, gara in salita. Fu così notato da Mario Rossi, dirigente di una squadra genovese (appunto la "Rossi"), che lo ingaggiò e lo ospitò poi in casa. Seguirono altre vittorie e piazzamenti importanti, pur tra guai meccanici. Ma in casa Rossi c'era anche la giovane signora Aida... L'esuberante Lorenzo cedette ai compiacimenti di lei, ma poi captò il pericolo ed un giorno all'improvviso ripartì per la sua Cagli (1922). In quegli anni le strade pesaresi erano ancora quelle che erano, cioè polverose (dato che l'alta Flaminia non fu asfaltata prima del 1932). Su quelle strade l'allenamento più ricorrente era alquanto tosto anche per la lunghezza (uscite da mattina a sera): Cagli, Urbino, Pesaro, Fano, Jesi, Gubbio, Cagli; proviamo a proporlo a qualche giovane d'oggi... Fu ingaggiato allora nella squadra delle biciclette "Apollo" dall'imprenditore anconitano Lucconi e si vide regalare la sua seconda gloriosa bicicletta. Alla fine della stagione 1924 passò alla società ciclistica "Mazzini" di Portocivitanova, con bici "Jenis": giusto in tempo per esordire nella categoria "Indipendenti" al Giro di Lombardia, tra i big dell'epoca. Fu anche quello un ottimo esordio: 2° di categoria dietro a Dinale e 8° in classifica generale dopo Brunero, Girardengo, Piemontesi e Binda. Nell'anno successivo ancora con la bici "Jenis", partecipò al Giro d'Italia, ma una forma di foruncolosi lo fermò a Napoli alla sesta tappa (quando era 16° assoluto). In quei due anni totalizzò 24 successi, anche con alcuni sporadici ingaggi "Bianchi". Ancora un anno per passare in Francia con la squadra della "Peugeot"(riuscì a vincere ad Année) pronta per il Tour; ma proprio alla vigilia il capitano della squadra, Rebry, cadde in allenamento e tutta l'equipe rinunciò a partire, con Leoni all'apice della forma. Cominciò il 1927 da "isolato", poi si accasò di nuovo alla "Bianchi", finché entrò nella Milizia di Stato, che gli permise di continuare molte trasferte con profitto. Nel 1928 fu ingaggiato per otto mesi, a 1.500 lire mensili, dalla "Micozzi" di Roma, con i colori della quale si impose in una volata a cinque nell'importante prova di Cairano (Napoli), stabilendo la media record di 38,200 Km/ora, che solo Coppi riuscì a battere ben vent'anni dopo.
Tecnicamente Leoni fu un eclettico: teneva bene la distanza, non mollava in salita, aveva un ottimo spunto in volata, ben figurava nella classifica di gare a tappe e si specializzò poi nelle gare ad inseguimento in circuito o in pista. Ricorda alcuni episodi: nel 1923 a Fano, in una gara con arrivo davanti alla caserma (e vinta poi da Occhialini) venne spinto nell'ultima curva quasi fuori strada e con rimpianto fu solo terzo. Nel Giro d'Italia del '27, con la "Bianchi", fu avversario di Binda che lo rimproverò per certi suoi attacchi inopportuni, affibbiandogli un colorito appellativo: "cacciavite" (a voler dire: tanto gira, gira, sei sempre lì); ma lui, Lorenzo, voleva correre a modo suo, senza inibizioni, né imposizioni, e nella tappa Napoli-Avellino in cima alla salita di S. Fremondi rimase solo alla ruota del campione che allora, ricredutosi sulle qualità di quel "cacciavite", gli porse le sue scuse e gli offrì un posto nella sua squadra. Nel 1927 a Recanati ritirò in premio una stilografica d'oro per mano di Beniamino Gigli. Nel Giro del 1931, da testardo, volle vincere un traguardo a premi all'ultima tappa (arrivo a Cuneo), evidentemente destinato ad altri; ed allora un ufficiale della Milizia al seguito della corsa gli rifilò una multa. Lorenzo si oppose ostinatamente all'ingiustizia, minacciando l'abbandono; ma quando apprese dell'annullamento della multa, aveva già spedito con rabbia la bici a casa... Fu quello uno degli ultimi episodi della sua meritoria carriera ciclistica, durante la quale non ricorda di aver commesso infrazioni o irregolarità. Con il suo esempio trascinò nel mondo professionistico anche il concittadino Antonio Mencoboni e con i suoi quattro gettoni al Giro resta il pesarese più presente alla nostra Grande Corsa.
Massimo Ceresani