Dobbiamo dare atto che recentemente il Sindaco ha sollevato una interessante questione intorno alla esposizione o meno in un luogo civico del crocefisso. Il gesto di bandire un segno religioso avrebbe potuto passare inosservato, ma un'energica levata di scudi ha impedito l'attuazione di un atteggiamento certamente meditato da tempo, ma reso possibile dalla contingenza di variare la sede della camera mortuaria. Obitorio nuovo; vita nuova.
L'atteggiamento dell'Amministrazione comunale è stato utile per sondare la volontà cittadina al di là di ogni ”referendum”. Di fronte al fatto, lo spirito più tradizionale se ne è risentito, ha alzato la voce e si è fatto rispettare. Ma il proposito del Sindaco non era infondato e privo di consensi, anche taciti, poiché bisogna ammettere al di sopra di ogni ideologia che tale simbolo viene talvolta “dimenticato” anche nelle stesse intimità delle abitazioni private. Una volta in ogni casa c'era un crocifisso: ora non più, nonostante che al cimitero le lapidi senza croce restano rare come le mosche bianche. Allora per quale motivo insistere con una consuetudine che non di rado sta perdendo d'importanza, non tanto per una feroce propaganda contraria, quanto per una crisi di valori derivante da un diffuso benessere (oggigiorno chi lavora ha una bella macchina e, talvolta, chi non lavora ce l'ha anche più bella), sebbene persistano larghe fasce di povertà?
Sicuramente tutta la trascorsa vicenda è lo specchio di una strisciante secolarizzazione della cittadinanza pesarese che si manifesta con un minor impegno religioso esteriore. Ad esempio, quanti figli oggi chiedono al proprio genitore, allorché rischiano di perdere la vita, di essere benedetti con quel segno che contraddistingue i cristiani e che consola? Tale atto solenne, che oggi può apparire frutto di fantasia, viene menzionato anche da Odoardo Giansanti nelle sue poesie allorquando riporta fatti di vita quotidiana. Ma quelli erano altri tempi.
Cesare Fornaci
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