Un giorno mio figlio (che vive a Cracovia) mi telefona e dice: “Mamma, c'è un mio amico ucraino affetto da leucemia grave. Avrebbe bisogno di un trapianto, ma a Cracovia non c'è alcuna possibilità se non pagando 400 milioni di vecchie lire. Puoi vedere se fosse possibile farlo in Italia?” Mi sono messa in contatto con amici che mi hanno comunicato informazioni preziose, intervenendo in molti casi di persona. Vorrei ringraziare tutti coloro che si sono attivati in questa gara di solidarietà (sono stati tanti), compreso lo staff medico del Reparto di Leucemia di Pesaro: il quale, pur sapendo che il caso era pressoché disperato, non si è tirato indietro di fronte al tentativo di salvare una vita. Purtroppo il ragazzo (28 anni) non ce l'ha fatta. E' scomparso, ma non è scomparsa l'eredità che mi ha lasciato. Assieme alla sua dolcezza, mi ha regalato la sua sofferenza, le lacrime che avevo perduto, il privilegio di averlo ospitato per parecchi mesi in casa e l'immensa ricchezza che è derivata dal fatto di conoscerlo. Quest'esperienza mi ha fatto conoscere meglio anche gli amici di mio figlio, ragazzi meravigliosi che per molti mesi lo hanno assistito come solo una madre può fare. Ora c'è un gran vuoto e un gran dolore, ma ciò non m'impedirà di impegnarmi di nuovo. Per quale motivo racconto questa storia? Perché oltre ai tanti che si sono prestati, qualcuno ha detto: “In Italia abbiamo una Sanità disastrosa ed andiamo a curare anche gli stranieri! Se un italiano si ammala all'estero deve pagare tutto. Poi, quando muoiono si soffre troppo”. Ma io dico: come si può arrogarsi il diritto di scegliere chi deve vivere e chi morire? Stranieri o no? Non siamo noi che dobbiamo guardare i Paesi che fanno meno, semmai il contrario. La solidarietà italiana è una delle poche cose di cui possiamo andare fieri. In quanto al soffrire poi, è vero, si soffre tanto, ma questo dolore ci fa capire di essere vivi nel modo giusto. Ora quel ragazzo riposa nel piccolo cimitero di Sant'Andrea. Una lapide straniera a testimonianza del passaggio nella nostra vita, una tomba di tutti. Come scrisse Hemingway: “Non chiedere per chi suona la campana, essa suona per te”.
Maria Grazia Vittoriano
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