L'ingegnere era ossessionato dalle polveri sottili. Nel giro di due anni la sua vita era cambiata. Prima poteva rallegrarsi dell'aria di Pesaro. Andava spesso al porto, quando il lavoro glielo permetteva, e preferiva farlo nelle giornate in cui i moli erano spazzati dalla bora, che puliva tutto anche dalle polveri dei cavatori croati. La gente respirava a pieni polmoni quel bene di Dio e tornava più allegra a casa. Il mare in tempesta portava, nelle gole dei cittadini e nella sua, vapori misti di iodio e di ossigeno purificato. Poi all'improvviso erano arrivate le polveri sottili e il Comune aveva iniziato a diramare bollettini di guerra: “PM 10 a 144 unità per più di 20 volte all'anno” e via dicendo. Sembrava di essere a Milano, dove spesso si recava a trovare il figlio , che invece era contento della città, a parte il cielo sempre grigio: però era più bello tutto quando arrivava il sole. L'ingegnere aveva iniziato una battaglia solitaria per far capire a tutti che i dati potevano essere sbagliati, o almeno mal rilevati. Si basava sulla convinzione che la sua gola, debolina e quindi sensibile, per motivi ereditari, non gli lanciava particolari allarmi. Notava la solita differenza tra l'aria di Urbino, di un livello superiore, quella di Pesaro tutti i giorni, quella di Pesaro con la bora e quella di Milano. L'ingegnere era una specie di centralina mobile di PM10, non era un fumatore, aveva la gola sensibile, si spostava frequentemente per motivi di lavoro e poi era un piantagrane del cavolo. Si era fatto fotografare con un bollino blu nella fronte per provocare reazioni, ma, poco a poco, la gente lo aveva dimenticato e anche molti suoi amici lo avevano rimproverato. Ci fai fare brutta figura dicevano. Oppure: ti conoscono tutti, non puoi sputtanarti da solo. L'ingegnere, che era anche permaloso, si era ritirato nel buio di una esistenza meschina. Aveva smesso di lavorare, per sostenere la sua famiglia aveva cominciato a giocare al Lotto o al “gratta e vinci”, per risolvere tutto in un colpo solo e fargliela vedere lui a tutti quanti. Raggranellava comunque qualche soldo facendo il buttafuori alla Baia degli Angeli, vestito da gladiatore; oppure facendo il garzone di fornaio da un amico pietoso. Alla fine, in una mattinata nebbiosa, era stato colpito dal fulmine dell'invenzione. Si doveva realizzare un bollino auto-rilevatore dell'inquinamento atmosferico, una targhetta colorata da appendere all'occhiello della giacca, personalizzabile in forme e colori e tarabile per i diversi tipi di inquinanti. Al suo interno miriadi di microcircuiti avrebbero dato i segnali cercati, se contaminati dalle polveri o dagli inquinanti, cambiando di colore. I primi prototipi furono costruiti in sordina e dati agli amici increduli ma fiduciosi, perché gli amici servono a questo. Poi il viaggio in America, dove la tecnologia la fa da padrone e il sogno è diventato realtà. Migliaia di pesaresi girano in città con un bollino dalle mille forme e dai mille colori e tornano a casa felici perché l'inquinamento non c'è o al massimo è limitato ad alcune zone della città. L'auto-rilevazione del fenomeno ha dato ai cittadini più consapevolezza e maggior forza alle loro richieste. I tram a trazione elettrica sono diventati più comuni, la gente ha iniziato ad usarli e alla fine si è accorta che si vive meglio senza auto sempre appiccicata alla schiena. L'inquinamento, già ridotto in partenza, è sparito del tutto; come l'ingegnere, di cui si sono perse completamente le tracce.
Gaio Valerio Marchi
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