Cinquant’anni fa, nell’agosto del 1959, don Luigi Sturzo, il mitico fondatore del Partito Popolare Italiano, lasciava la vita terrena. La sua vita, con grande e serena coerenza, fu tutta improntata ad una politica di ispirazione cristiana nella quale i cattolici italiani potessero ritrovarsi per poter portare nella società italiana i valori della pace, dell’uguaglianza, della libertà e della solidarietà. Don Sturzo non fondò mai “il partito dei cattolici” ma fondò un “partito di cattolici” poiché la politica è lotta e divisione; e non lo chiamò affatto “Democrazia cristiana” proprio perché il termine cristiano è universale e mal si adatta alle diatribe politiche. Don Sturzo era per uno Stato popolare, ma che riconoscesse i suoi limiti per dare il giusto valore alla famiglia, ai Comuni, al decentramento regionale, alla libertà religiosa. Con lui finalmente i cattolici impegnati in politica possono definitivamente superare i limiti angusti e improduttivi del vecchio clericalismo ed entrare a pieno merito nella vita politica italiana. E possono così propagandare nelle sedi ufficiali ed istituzionali dello Stato liberale gli ideali cristiani e la dottrina sociale della Chiesa. Per don Sturzo i cattolici possono anche militare in differenti formazioni politiche e partitiche, sempre che le loro ideologie non siano incompatibili o contrarie alla fede cattolica. Le basi del Partito Popolare sono infatti la persona umana, il popolo, la libertà e la solidarietà. Lo Stato doveva, per don Sturzo, essere veramente democratico e interclassista, sempre più a misura dell’uomo, della libertà economica e nel quale risaltassero le autonomie locali. Per lui non ci poteva essere vera libertà politica se non ci fosse stata la libertà economica. Per cui può anche essere definito non solo l’alfiere del popolarismo ma anche un cattolico liberale. Ed i ceti medi, soprattutto contadini e artigiani, trovarono nel programma del Partito Popolare il riconoscimento alle loro giuste aspirazioni. Don Sturzo, poi, avversò sempre lo statalismo e, quando rientrò in patria dopo l’esilio dichiarò testualmente: “Non posso sopportare l’arte grave e pesante dello statalismo, il quale è foriero di disordine, disarmonia, sopraffazione, violenza della persona umana, rottura dell’organismo statale. Statalismo non è Stato ma è contro lo Stato…”. Purtroppo l’ultima battaglia di Sturzo, quella per la moralizzazione della vita pubblica contro gli abusi della partitocrazia, non ebbe effetti positivi poiché il centralismo ed il clientelismo dell’età di Giolitti ebbero una nuova fase nel periodo della cosiddetta “Prima Repubblica” che, per colpa della spartizione dei partiti, tradì i suoi valori costituzionali e morali. Sturzo fu quindi, negli ultimi anni della sua vita terrena, un profeta inascoltato.
Antonio Piga
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