“Berardi, se devi parlare vai fuori!” così mi apostrofò a Fano Giovanni Spadolini interrompendo la sua relazione durante una affollata assemblea delle “forze produttive” fanesi. Erano i concitati momenti della campagna elettorale del 1983 alla quale partecipavo da candidato per la Camera dei Deputati ed è vero, lo confesso: stavo parlando mentre lui parlava. Soltanto una breve risposta ad una precisa domanda dell'allora inviato speciale de La Stampa, Ezio Mauro che oggi dirige il prestigioso quotidiano La Repubblica. Eppure era stato proprio il Presidente, al momento del suo arrivo all'aeroporto di Falconara, a pregarmi di essere molto cortese con l'allora giovane giornalista che mi descrisse come: “intelligentissimo e bravissimo”. Aggettivi che trovai appropriati parlando con lui durante la serata conviviale (400 persone, un record per Fano) e per buona parte della notte deambulando da un locale all'altro della zona mare dopo aver portato Spadolini a dormire. Non riporterò per carità di patria il commento di Ezio Mauro a questa uscita spadoliniana ma gli sfottò degli avversari a Fano continuarono per tutta la campagna elettorale. Alberto Iacucci, da vero amico, cercò di riparare ricordandogli che ero il candidato fanese al Parlamento ed allora dopo un accattivante sorriso venne l'invito: “Ha ragione, mi raccomando votate Berardi, il numero 3”. Ma la frittata era fatta. Gli elogi prodigati successivamente durante il trasferimento prima a Recanati (casa di Leopardi) e poi a Macerata per la perfetta organizzazione e la grande partecipazione rimasero un fatto privato e non furono sufficienti per modificare il risultato: primo dei non eletti. Di quelle giornate restano le battute degli amici ed un bell'articolo di Mauro su La Stampa in cui si metteva in luce l'originalità della iniziativa: “un gigantesco cenone elettorale organizzato come un party mondano, con inviti selezionati, signore abbronzate, autorità sparse, inviti di chi è fuori. Insomma, un incrocio fra un pranzo del Rotary e una cresima di lusso in provincia, un tentativo d'innesto tra nuovo americanesimo spettacolare e vecchio repubblicanesimo marchigiano” (…) “e Alberto Berardi che ha capito tutto, sta pilotando Spadolini da un tavolo all'altro, da un applauso a una stretta di mano, mentre i cuochi vengono sulla porta della cucina a guardare”. Resta ancora lo sconcerto per una uscita incredibile, soprattutto per un uomo così controllato, che in molte occasioni mi aveva espresso, durante il periodo in cui ricoprii la carica di Segretario regionale, la sua stima ed il suo affetto. Stima ed affetto che da parte mia rimasero integri fino alla sua scomparsa e che ebbi modo di esternargli anche l'ultima volta che lo vidi e gli parlai. Eravamo sullo stesso aereo partito da Bombay, ma ignari. Scendendo allo scalo di Abu Dhabi i miei occhi si posarono su numerosi fascicoli sparsi nelle poltrone di prima classe: “Presidenza Senato della Repubblica”. Chiesi lumi ed ebbi conferma. Rispose immediatamente al messaggio fattogli pervenire da un assistente di bordo e mi ricevette insieme al Sovrintendente di Urbino Dal Poggetto, reduce come me da un lungo tour in India. Un rimprovero per cominciare: “Cosa fai qui, con tutto quello che c'è da fare in Italia?” . Risposi: “Se non erro anche tu sei fuori dal Paese”. Pronta spiegazione, tipicamente spadoliniana: “In cinque giorni ho fatto la Cina e l'India e mi hanno dato una laurea honoris causa all'Università di Calcutta”. Alla quale infantilmente replicai, ed oggi me ne pento: “Io sono stato a Bombay nella casa di Gandhi e nella sua biblioteca ho trovato due copie de ‘I doveri dell'uomo' di Giuseppe Mazzini”. La sua reazione, per me scontata, fu terribile. Un suo collaboratore immediatamente convocato, rimproverato e gratificato con un termine inappellabile: “Perché non mi avete portato a casa di Gandhi? Il professor Berardi c'è andato ed ha visto i libri di Mazzini. Allora?” Spiegazioni razionali ma incerte che non lo convinsero affatto. Tornato il sereno, ci salutammo con l'invito a venire a Pesaro per le celebrazioni in programma su Ernesto Nathan al quale prontamente aderì e con la consegna a me e a Dal Poggetto di due opuscoli del Senato della Repubblica, uno in inglese con il testo del suo discorso a Calcutta: “Mazzini and Gandhi: a common history” 25 febbraio 1994; e l'altro in caratteri cinesi datato Pechino 21 febbraio 1994. Opuscoli che gelosamente conservo insieme alla lettera di risposta all'invito ufficiale per la cerimonia dedicata a Nathan con le parole profetiche: “Quando ci siamo incontrati sui cieli dell'India già covava in me un male simile a quello che ha colpito il Paese”. Il 4 agosto dello stesso anno, dopo la drammatica seduta di insediamento del Senato che lo vide sconfitto per un voto e che accelerò il decorso della sua malattia, Giovanni Spadolini moriva; mentre continua l'agonia della Prima Repubblica.
Alberto Berardi
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