Una guerra lunga, ha riferito al mondo intero il presidente degli Stati Uniti d'America. Il terrorismo, invisibile, diffuso, stratificato, radicato e colluso con i poteri forti trasversali: annientarlo sarà difficile. Le perdite, come succede in guerra, ci saranno da una parte e dall'altra. L'America, più organizzata e funzionale, potrà vincere militarmente ma sicuramente sarà perdente in termini di qualità di vita, di sviluppo, di globalizzazione mercantile. Dopo una guerra lunga, laboriosa, insidiosa, la progettualità di ieri subirà inevitabilmente una modifica. La trappola del terrorismo si avvarrà di questa logica per imprigionare e imbrigliare il primato occidentale, riscattando il mondo fondamentalista. I contraccolpi del terrorismo psicologico e del bioterrorismo per l'Occidente fragile ed esposto potrebbero essere fatali. Saremmo costretti a deporre le armi della globalizzazione ed inventarci altre strategie di mercato. Ma se la guerra al terrorismo globale dovesse scoprire il vero volto, come parrebbe, di voler mettere le mani sulle vie del petrolio, tassello vitale alla globalizzazione, lo scenario degli schieramenti internazionali potrebbe capovolgersi improvvisamente. Gli interessi di tutti si accentrerebbero sulla preziosa e redditizia macchina del consumismo, da sempre contesa, causa vera del volgare odio verso gli Stati Uniti d'America.
Liquidati gli equilibri del muro di Berlino, una gran parte del mondo orientale si è frantumata e polverizzata sotto i colpi delle strategie di mercato dell'Occidente. Un posto al sole lo pretendono tutti. Questa prima parte della guerra potrebbe essere tragicamente una prova generale del conflitto mondiale. La storia insegna che in guerra gli accordi, le alleanze, i trattati, diventano da un giorno all'altro carta straccia per alimentare il fuoco quando c'è da prendere qualcosa. Non è una regola, forse un limite dell'umanità, ma è andata quasi sempre così. Anche questa volta, sebbene con amarezza e profonda preoccupazione, dobbiamo ammettere che il corso della storia non lo si cambia. Manifestiamo pure per la pace o per la guerra ma troviamo il coraggio di assumerci la responsabilità morale dei nostri egoismi individuali e collettivi. Prima o poi i conti con gli altri dobbiamo farli. Le sole cifre con tantissimi zeri sono contabilità, naturalmente e fisiologicamente precaria, che non ci permette di credere in un mondo diverso e migliore. Gli altri credono, anche esageratamente, che sono sempre loro, a lungo termine, a vincere.
Stefano De Bellis
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