Carlo Giardini è nato a Pesaro il 14 agosto 1924. Da bambino abitava in Via Giordani, dietro il Conservatorio di Musica, in quel centro storico dove il 95% della gente parlava il dialetto stretto. Dopo avere frequentato la scuola elementare al Carducci e al Perticari dove imparava anche il dialetto del porto da due bidelle che parlavano il “portolotto” (diverso da quello di città), fu costretto ad andare a lavorare a 9 anni; prima in un'officina di Via Cavour, poi in diversi negozi di frutta e generi alimentari fino a 14 anni, quando poté ottenere il libretto di lavoro e quindi una occupazione stabile come elettricista da Della Fornace. Nel 1944, dopo il passaggio del fronte, era assunto all'Azienda dell'acquedotto sito tra le due caserme.
Le sue conoscenze dei tre diversi dialetti pesaresi, quello della città, del contado e del porto vennero approfondite per la sua passione per la caccia che lo portava in campagna e quella per il mare che lo portava a frequentare l'ambiente dei marinai. Quando era bambino andava spesso a trovare Pasqualon nel ricovero di Via Mazza con lo zio. In queste occasioni rimaneva ad ascoltare incantato tutti i loro discorsi ed in particolare le poesie recitate dal poeta pesarese.
Vi presentiamo una piccola antologia di proverbi in vernacolo, da lui raccolti.
Paolo Emilio Comandini
– I scherz ala “Borgorucia”
Cercare di imbrogliare qualcuno, ma se si scopre il tentativo d'imbroglio si dice: ho scherzato.
– “Le pugnet dla Cianciga”
Fare le cose lentamente, senza molto impegno.
“An t'za gnanca do chel sta tchesa”
Non conoscere qualcuno o qualcosa, nemmeno un po'.
“Ansa ne scura ne ste sit”
Si dice di persona che non sa comportarsi.
– “Ste a urech a pnel”
Ascoltare attentamente per non perdere nemmeno una parola. Il pennello, in questo caso, è una sorta di mostravento, solitamente situato in cima ai campanili, che si orienta sempre verso la direzione da dove spira il vento.
– “Co t'sì gid a scola dala Bughi?”
Si dice a chi è particolarmente sprovveduto. La Bughi era una maestra elementare che aveva una scuola privata, ma non godeva di gran fama.
– “An sa ne d'me net'e cum'è la Salve Regina”
Si dice di qualcosa della quale non si capisce bene il significato.
– “Dal giorne d'la Candlòra da l'inverno siamo fòra”
Proverbio contadino.
– “Sta fat ben i cont a sim tel mez impont”
Se hai fatto bene i conti siamo a metà inverno.
– “Do c'anariva el tira el capel”
Si dice di un donnaiolo impenitente.
– “La sbè tun bichir d'acqua”
Si dice di una ragazza candida ed immacolata.
– “L'è di set e na bulida”
Si dice di bambino vispo, furbastro.
– “L'ha banduned casa e pétin!”
Ha abbandonato cassapanca e pettine. Si dice di chi ha abbandonato la famiglia e tutto il resto.
– “T'si lung cum'è la stmena santa”
Ci si riferisce a chi è molto lento a fare le cose.
– “C'è el gat sel fogh”
Quando il gatto si acciambellava dentro il fornello tiepido. Significava che non era pronto il pranzo o la cena.
– “A so tut un tremor”
Tremare dall'emozione.
– “Sincanta la stacia”
Finita la farina non c'è più nulla da setacciare. Si dice in senso figurato.
– “Og è sabte a chesa nostra”
Detto scaramantico dei contadini che pronunciavano dopo aver nominato una strega.
– “Tant'era e tantè cum el tambur d'Gradera”
Non è cambiato nulla.
– “Un pes dardos e un pes ala bona”
Quando si chiede ad un marinaio come va. “Un po' con le mura a sinistra e un po' a dritta”.
– “Quant l'orc el va ala font o chel sesmaniga o chel sromp”
Quando una cosa si ripete a lungo, qualcosa succede.
– “Gi sala samptena del gat”
Agire con cautela e con diplomazia.
– “En ved un caz in tun piat d'lata”
Uno che ha la vista cortissima.
– “La magna quel cla jà e la dic quel cla sa”
Non sa mantenere un segreto.
– “Sa un figh i t'fa gi a Roma e sal gambul it'fa arturné”
Con poco e niente ti fanno fare quello che vogliono.
– “Patacuc el gioga a bocia ferma”
Non cantar mai vittoria finché la cosa non è conclusa.
– “L'ha tut i vizi cum e Gagen”
L'ha tutti i vizi come la volpe.
– “L'ha ian d'Asiari”
Un centenario.
– “Bamben de ges”
Si dice di un bambino molto carino. Si paragona ad una statuetta del Bambin Gesù di gesso.
– “T'si quaon o t'fa la mor?”
Sei proprio sciocco o sei rincitrullito perché sei innamorato?
– “Se chi birb in inquaonasa i quaon cum i faria?”
Se i furbi non si potessero gabbare i meno furbi come farebbero?
– La bol sa do batech!
Si dice quando la situazione è grave.
– “Bugiard cum un cheva dent!”
Nelle fiere e nei mercati i cavadenti promettevano l'estrazione indolore. Invece!
– “Facia franca metà d'la spesa”
Non bisogna essere timidi.
– “Le jè cume le puten S'negaia: al giorne le fa cagnera a la not le fa ciataja”
Quando qualcuno fa finta di litigare in pubblico, mentre sotto sotto sono d'accordo.
– “Vat a fe b'nedì sa un scurcel ruded”
Vai a farti benedire con una accetta ben affilata.
– “La fadiga e el pen bron la jè fata par i minchion”
Lavori faticosi e pane scuro sono per i fessi!
Il pane scuro che conteneva molta crusca, costava meno ed era meno buono.
– “L'è cum a de le m'laranc mal baghen”
E' inutile dare qualcosa di prelibato a chi non sa apprezzare.
– “Ta da fe la fen d'la gagia d'Barul”
Era una simpatica gazza addomesticata che gironzolava sempre nella cucina dell'osteria di Barul (personaggio citato anche in una poesia di Pasqualon): a forza di ficcare il naso dappertutto è caduta in un caldaio d'acqua bollente.
“Ta da fe la fen del bach d'Lucheta”
Bach (giovane ovino) che si allontanava dal gregge per andare a curiosare qua e là; entrato nel recinto della scrofa, questa gli ha mangiato la testa.
– “Luca, de la aluca”
Prendere in giro, canzonare.
– “E' not enc'è un pugn d'erba”
Proverbio contadino che si riferisce a una giornata durante la quale non si è concluso nulla.