Le storie sotta la Volta d'Santa Vendra
Quarant'anni fa, giorno più o giorno meno, assolvevo i miei obblighi di leva ed ero imbarcato sulla nave Etna della Marina Militare italiana. Facendo sosta per alcuni giorni nel porto di Ancona, feci la classica "fuga" fuori dalla limitazione territoriale per tornare a casa. Anche se solo per poche ore, era una soddisfazione ineguagliabile. Appena passato sotto l'imperituro arco di S. Veneranda, ho incontrato mia madre che si accingeva a fare la spesa alla "Cooperativa di Consumo". La Franca, commessa eloquente ma molto garbata, serviva tutti con il suo ritmato e abituale chiacchiericcio quand'ecco che sulla porta fece la sua apparizione il "Conte Mario dei Rastelletti". La sua dimora, era situata proprio di fronte alla Cooperativa. Mi salutò, il conte Mario: in un certo qual modo mi voleva bene. Ricambiandogli il saluto, gli chiesi come andavano le cose. Il "nobile" gentiluomo, mi informò subito che era lì per acquisti e, con una certa eccitazione mi disse: “Ho appena ricevuto una lettera dalla principessa Margaret d'Inghilterra! Da quando è venuta a conoscenza delle mie aristocratiche origini, dei miei modi raffinati e gentili ma soprattutto del mio elegante vestire, tipico del loro lord Brummel, ha lasciato suo marito. Non l'ama più! Ha deciso di venire a visitarmi e dimorerà nei miei alloggi”.
Questo mi disse il conte Mario mentre si accingeva ad acquistare una tortina di pan di Spagna ed un paio di ciabattine color azzurro chiaro con mezzi tacchi e con dei ciuffi di piume. Mi fece sapere poi che avrebbe ceduto il suo giaciglio alla principessa Margaret e lui temporaneamente avrebbe dormito sulla poltrona da barbiere fino a quando non avesse trovato un espediente migliore nella sua stanza-appartamento-bottega. Il pan di Spagna che aveva acquistato era per la "sua" principessa, come anche le ciabattine da camera per muoversi nella di lui magione.
Giunto a casa, raccontai l'accaduto a mio padre: mi disse che le lettere della principessa Margaret, non erano altro che delle missive di alcuni buontemponi e benestanti pesaresi che si divertivano a far illudere il buon Mario. Si narra altresì che gli stessi buontemponi che scrivevano le lettere della principessa Margaret, avevano invitato il conte Mario ad una cena in un noto ristorante nei dintorni di Pesaro. Dopo aver mangiato, uno ad uno, uscirono con le più disparate scuse dal ristorante e, avendo già loro pagato la cena al ristoratore, chiesero per scherzo di far portare ugualmente il conto al povero Rastelletti. Quando il cameriere per notificargli il costo della cena si presentò al cospetto del conte Mario che da solo ancora si stava abbuffando, pare, secondo i biografi dell'epoca, che lo liquidò con poche ma incisive parole: “Giovanotto! sappia lei che il conte Mario dei Rastelletti, mangia sempre e come invitato non paga mai”.
Lo stesso Mario è protagonista di un’altro gustoso aneddoto che vide coinvolto anche mio padre. È risaputo a Santa Veneranda che mio nonno, mio padre e infine io stesso, eravamo titolati di un soprannome, come tanti altri a S. Veneranda: il nostro soprannome era Riciùt (ricciuto per via dei capelli). Abitando vicino alla casa di Mario Rastelletti, mio padre andava a farsi fare saltuariamente la barba dal conte. Sennonché un giorno, mentre era seduto per un’operazione di rasatura abbastanza complicata, mio padre incominciò a tirare di lato con un certo dolore, la parte destra della bocca. Il conte Mario accorgendosi di questo spiacevole e doloroso inconveniente esclamò: “Porca boia, Riciutèn! A te stagh facend la barba sal rasol ch'a taj i call: adess a iò capit parché te fèv l'accenn del tre!”. (“Porca boia, Ricciutino, ti sto facendo la barba con il rasoio con cui taglio i calli: adesso ho capito perché facevi il cenno del tre!”, classico movimento con la bocca per segnalare il tre quando si gioca a briscola).
Questo accadeva nella stanza-appartamento-bottega di Mario Rastelletti che, con mezzi abbastanza rudimentali, esercitava l'arte di barbiere.
Giuliano De Angelis