Questa volta vi segnaliamo un libro che non è scritto da un autore delle nostre parti e non si riferisce a questo territorio. “A mio figlio Federico”, di Marisa Pirocchi (Edizioni della Meridiana), è un affresco familiare ambientato in un paese della campagna bergamasca negli anni a cavallo dell'ultima guerra: un mondo visto con gli occhi curiosi e ironici di una bambina – e poi un'adolescente – milanese. Ne viene fuori una storia che supera i confini geografici (e a volte linguistici) della narrazione e assume un significato universale: come l'Amarcord di Fellini, che è ambientato in Romagna ma fa ormai parte della nostra memoria collettiva. Il racconto si dipana attraverso 170 pagine fitte, senza capoversi; un diario in prima persona che segue libere associazioni di ricordi ma riesce tuttavia a scavare in profondità nei personaggi, gli ambienti, i sentimenti: accennandoli, lasciandoli e riprendendoli come in una sinfonia musicale. Vi appaiono la “madre prefetta” (con una feroce critica dell'educazione ricevuta in un liceo gestito dalle suore), le balie contadine, gli artigiani, il professore di Fisica, l'amica ricca. Appare persino, di sfuggita, mons. Angelo Roncalli, il futuro papa Giovanni XXIII, che era di quelle parti. In alcune pagine di incantevole leggerezza si sentono gli odori della campagna, il gusto dei cibi, la dolcezza degli affetti e dei legami familiari. E soprattutto aleggia un profumo di pulizia d'altri tempi, di un'Italia che non c'è più.
A.A.
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