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Casa Paci, 10 anni di speranza

L’esterno di “Casa Paci”: una villetta alla periferia di Pesaro, concessa gratuitamente dalla famiglia Ugolini alla cooperativa IRS l’Aurora. Può ospitare fino a dieci detenuti.

Con una sobria ma festosa cerimonia, “Casa Paci” ha festeggiato il 4 settembre i dieci anni di attività come centro di accoglienza per detenuti in fase di reinserimento sociale. “Casa Paci” (dal nome del precedente proprietario) è una tranquilla villetta della periferia di Pesaro sulla Strada del Montefeltro, a un chilometro di distanza dall’ingresso dell’autostrada. La storia ha inizio nel 1991 quando Stefano Danti, un maestro del carcere di Villa Fastiggi, riesce a realizzare un progetto coltivato da qualche anno: l’apertura di una struttura residenziale per concedere ai detenuti la possibilità concreta di accedere a misure alternative al carcere. La prima sede, in Via dell’Angelo Custode, viene messa gratuitamente a disposizione da Paolo e Mariolina Ugolini; come pure, dal 1997, la sede attuale. La gestione è affidata dal 1999 alla IRS l’Aurora, una Società cooperativa che è impegnata su vari fronti del disagio sociale. Nella Casa vengono accolti solo uomini, per periodi in genere non superiori a 12 mesi. A causa delle caratteristiche operative della struttura, non sono ammessi tossicodipendenti, alcolisti e pazienti con patologie psichiatriche. Sono ospitati i detenuti cui, per decisione del giudice di sorveglianza, possono essere applicati provvedimenti di mitigazione della pena; detenuti in regime di semilibertà o ammessi al lavoro esterno; in permesso premio; in detenzione domiciliare o in affidamento in prova al Servizio sociale; ex detenuti da reinserire nel mondo del lavoro; e infine anche adulti a rischio di emarginazione che non hanno pendenze giudiziarie e che trovano qui una sistemazione temporanea. Le spese di gestione sono coperte per la maggior parte dal Comune di Pesaro e dalla Regione Marche, con i contributi della Provincia e della stessa IRS L’Aurora.
Alla cerimonia dell’anniversario hanno partecipato anche l’assessore regionale Marco Amagliani, l’assessore del Comune di Pesaro Gerardo Coraducci, l’ex assessore comunale Roberto Drago, il presidente della Cooperativa IRS L’Aurora Stefano Trovato. L’intrattenimento è stato assicurato dal gruppo musicale “La Belle Epoque” e da un detenuto in permesso premio dal carcere di Villa Fastiggi.
Particolarmente toccante è stato l’intervento di Paolo Ugolini che ha confermato – anche a nome dei figli Giovanni, Giacomo e Gilberto – il comodato gratuito della villa. Ha spiegato il suo gesto con un apologo. Un giorno Madre Teresa di Calcutta si rivolse al proprietario di un palazzo in vendita, che sarebbe stato la sede ideale per ospitare una delle sue opere di carità. Il proprietario, un magistrato musulmano, si ritirò in preghiera nella moschea e poi rispose: “Questa casa Dio me l’ha data e io gliela restituisco”.
Pubblichiamo alcuni brani tratti dal discorso dell’assistente sociale di Casa Paci, Maria Chiara D’Amicis.

Dida foto

1) Il presidente della Cooperativa IRS L’Aurora Stefano Trovato, l’assistente sociale Maria Chiara D’Amicis, l’assessore regionale Marco Amagliani, il coordinatore della Casa Francesco Battistoni.

2) Il proprietario della villa, Paolo Ugolini, insieme al figlio Gilberto e alla nipotina Margherita.

A.A.

Un percorso di crescita

Cosa significa realmente nella società di oggi fare reinserimento? Ai tre pilastri per un corretto reinserimento – casa, istruzione e occupazione – dobbiamo aggiungere i processi di esclusione sociale già ampiamente consolidati durante il tragitto detentivo che spesso non vengono affatto rimossi dalla nuova ed inedita condizione di ex detenuto. Se l’ospitalità ha un valore nel ricreare un ambiente familiare in cui l’ospite possa ricominciare a relazionarsi sulla base di certi doveri e diritti, il reinserimento non ha solo una funzione pratica, la ricerca del lavoro e un alloggio, ma anche quella di accompagnare l’uomo in un percorso di crescita personale, di ricerca di nuovi valori e di rispetto verso se stessi e gli altri.
Noi che operiamo nel sociale crediamo fortemente in questi valori. Ogni giorno conosciamo storie di detenuti protagonisti saliti agli onori della cronaca nera e persone anonime finite dentro: italiani, stranieri, giovani e meno giovani, persone con lunghi anni di detenzione alle spalle e altri che hanno vissuto di piccoli espedienti. A quelli che noi intercettiamo offriamo prima di tutto un percorso umano: che tiene conto sì della pena e del reato da scontare ma fatto di fiducia e ricerca della verità e di una visione nuova della giustizia. Vorrei fare due considerazioni importanti sul lavoro svolto con i detenuti in questi anni: una riguarda il nostro metodo di lavoro un metodo basato principalmente sull’idea che il reinserimento del detenuto inizia quando il detenuto è tale cioè in carcere. Il lavoro per noi comincia da qui, dal primo colloquio con il detenuto, dallo scambio professionale con gli educatori e qui entro in merito alla nostra mission. Rispetto alla realtà del carcere, Casa Paci funge da ponte ovvero si colloca all’inizio delle due problematiche che per un detenuto in uscita sono quasi insormontabili: la casa e la ricerca lavorativa. La nostra attività crea queste opportunità, accompagna il soggetto nella riscoperta delle proprie risorse. A lui, ovviamente, la responsabilità di farlo bene.
La seconda più che una considerazione è un dato di fatto. Casa Paci può ospitare 10 persone. I conti sono presto fatti: il tentativo che facciamo è una goccia rispetto al mare di necessità. Nel 2008 abbiamo erogato 2.211 giornate di presenza che equivalgono a 25 utenti accolti: per il 50% dal carcere di Pesaro, il restante dalle altre carceri della Regione Marche. Tutti sono stati collocati al lavoro grazie alla preziosa collaborazione instaurata in questi anni con le cooperative sociali presenti nel territorio pesarese. Alcuni hanno trovato una sistemazione abitativa indipendente, altri sono rientrati nelle proprie famiglie, con altri ancora ci stiamo lavorando.
Questi sono i nostri risultati. Io credo che se non ci fosse stata la relazione tra il mondo del privato e del sociale, dell’associazionismo e del volontariato con la sua diversità fatta di attenzione, sensibilità e disponibilità particolari e quello delle Istituzioni, questo non sarebbe stato possibile.

Maria Chiara D’Amicis


 
 
 
 
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