Quasi una tonnellata di sterline d’oro racchiuse in 12 casse di legno sono ancora nella stiva del piroscafo “Ancona”, affondato nelle acque fra Sicilia e Sardegna il 7 novembre 1915 e origine di un intrigo internazionale degno di un film.
Nel 1914, allo scoppio della Prima guerra mondiale, l’Italia era ancora formalmente alleata degli Imperi Centrali ma stava allacciando sotterranei contatti con Regno Unito e Francia (l’Intesa) con l’obiettivo di entrare in possesso di Trentino e Venezia Giulia (Istria inclusa), allora sotto dominio austriaco. Così, nel periodo della neutralità, si erano iniziati i preparativi per affrontare il nemico alla frontiera alpina anche ricorrendo alla importazione di armi, cavalli e muli dagli Stati Uniti. A detta del “New York Times”, nel marzo 1915 proprio a bordo dell’“Ancona” (di rientro in Italia dopo avere trasportato connazionali emigranti negli USA) erano stati imbarcati cavalli, tonnellate di fieno e farina, armi e munizioni. Il 23 maggio l’Italia dichiara guerra all’Austria (ma non alla Germania). Il 6 novembre a Napoli il governo italiano consegna al comandante dell’“Ancona”, Pietro Massardo, le 12 casse a saldo del debito contratto per quelle forniture. La nave salpa da Napoli, fa scalo a Messina e da qui, con un totale di 496 passeggeri italiani e 25 statunitensi, alla volta di Gibilterra. Ma alle 11.40 del 7 novembre viene avvistato di prora un sommergibile. Si tratta dell’U-38 (tedesco) al comando del tenente di Vascello Max Valentiner, che spara un colpo di cannone per costringere la nave a fermare le macchine. Massardo ordina alle macchine “avanti tutta” e manovra nella speranza di evitare il nemico; ma tre colpi di cannone squarciano antenne, sala radio e fiancata della nave. Il panico si diffonde a bordo, i passeggeri si gettano sulle scialuppe che l’equipaggio sta tentando di calare a mare, altri si gettano a mare. Senza altro preavviso, un siluro esplode sotto la carena, la nave affonda alle 13.20 dopo che il marconista era riuscito a lanciare lo SOS dando la posizione del naufragio.
Fu grazie all’iniziativa del secondo ufficiale, Carlo Lamberti, che una donna americana, Cecile Grail, medico della Croce Rossa, fu fatta salire a bordo di una scialuppa: sarà la testimone neutrale che accuserà il comandante del sommergibile dell’accaduto. Perirono 159 persone, fra cui 9 americani; i naufraghi furono raccolti dall’incrociatore francese ”Pluton”, alcune lance con dispersi raggiunsero perfino la Tunisia e Malta, una lancia con soli cadaveri si arenerà sulle coste di Marettimo mesi dopo. La notizia dell’attacco fu riportata dall’agenzia Reuters e quindi confermata dalla nostra Stefani l’11 novembre. Il Presidente USA Woodrow Wilson chiese subito conto al governo imperiale austriaco, ottenendo un diniego dell’attività dei propri sommergibili in Mediterraneo (ed era vero) e una accusa di falso al governo italiano. Ma la dottoressa Grail fece alla stampa una minuziosa descrizione sia dell’accaduto sia del sommergibile che aveva lanciato il siluro prima che equipaggio e passeggeri fossero sulle lance di salvataggio. La Germania, nell’intento di non creare un casus belli che potesse indurre gli Stati Uniti ad entrare in guerra, fu così costretta ad ammettere il grave comportamento dell’U-38 e si dichiarò disposta ad indennizzare gli USA aggiungendo che il comandante del battello aggressore era già stato punito (cosa questa non vera, il comandante Valentiner finirà, a fine guerra, nella lista dei criminali ma non verrà mai arrestato).
Ben cinque compagnie di recuperi hanno tentato di impossessarsi del tesoro dell’“Ancona” dalla sua scoperta nel 1985 ma il governo italiano, annunciando pubblicamente che si tratta di un natante requisito per impieghi di Stato (ufficialmente trasportava in America il saldo della partecipazione dell’Italia all’Expo Universale del 1915 a San Francisco) ha già rivendicato il diritto di proprietà e quindi all’esclusiva del suo (eventuale) recupero.
Paolo Pagnottella