Chiarisco subito. Non ho mai incontrato il grande Balthus. Lo conosco, come tutti del resto, attraverso le sue opere. Ho visto da vicino solamente la contessa Setsuko Klossowski de Rola, la sua vedova. L’ho incontrata a Bologna mentre si aggirava in chiaro kimono per le ampie sale del Palazzo del Re Enzo e del Podestà, esattamente il 24 novembre del 2002, in occasione dell’inaugurazione della bellissima mostra articolata in due momenti: “Le Stanze della Musica – Artisti e musicisti a Bologna dal ‘500 al ‘900” e “La Quadreria di Gioachino Rossini – Il ritorno della Collezione Hercolani a Bologna”. Me la presentò Vittorio Sgarbi e per me, che non avrei mai immaginato di poter incontrare un giorno colei che per quarant’anni era stata la silenziosa musa dell’ultimo grande della pittura contemporanea, fu una grande emozione. Mi inchinai alla maniera giapponese, mi rispose chinando graziosamente il capo e non riuscii a non manifestarle subito tutta la mia fervente ammirazione per colui al cui fianco lei aveva vissuto. Mi rispose con un sorriso e con quello che interpretai come un “grazie”. Percorsi al suo fianco il salone fermandomi ogni volta che si fermava lei davanti ad opere che destavano il suo interesse. Aspettavo qualche richiesta di spiegazioni ma non chiese nulla. Eppure quelle opere erano appartenute ad un genio come Gioachino Rossini. Potevo solo cercare di interpretare le repentine modifiche del suo enigmatico sorriso e valutare il tempo che riservava alle varie opere. D’altronde aveva taciuto per quarant’anni. Per tutti parlava Vittorio Sgarbi. Non c’era nulla che non sapesse e non commentasse. Come ho già narrato altrove, se la prese ad alta voce anche con me soltanto per avergli ricordato che Berenson, il grande Berenson, aveva dubitativamente attribuito a Giovanni Bellini la piccola ma stupenda tavola: “Crocifissione con Maria, Giovanni Evangelista, Maria Maddalena e due angeli” della Pinacoteca civica di Pesaro. Un fatto, non una opinione. Ma Sgarbi è Sgarbi. Setsuko increspò lievemente le labbra, infilò le mani nelle maniche del kimono e scomparve. La ritrovai curiosa al tavolo delle piadine, dei salami e della mortadella che si guardò bene dal toccare. Non osai rivolgerle la parola. Un nuovo, soltanto più accentuato inchino. Così si concluse l’ incontro. A distanza di anni mi impressionò non poco una intervista rilasciata a Januaria Piromallo che iniziava così: “Balthus? La mia vita è stata dipinta da lui. Dopo la sua morte (2001) sono uscita dal quadro ed ho incominciato a camminare con le mie gambe”. E così terminava con la risposta alla domanda se le mancava l’uomo della sua vita: “No, lui è qui. E’ come una cattedrale invisibile. Riempie tutti gli spazi”.
Alberto Berardi
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