Non sono bastati 3 milioni e 500 mila bambini mai nati, come con immenso dolore ha ricordato il Papa, per far modificare dopo venti anni la legge sull'aborto. Eppure questo non avviene lontano ma letteralmente sotto i nostri occhi: negli stessi ospedali dove giustamente si lotta allo stremo per mantenere in vita il centenario ridotto allo stato vegetale. Personalmente non sono mai riuscito a comprendere come chi fa battaglie per salvare un passero nel nido, un albero e persino un fiore, possa dimostrarsi indifferente e spesso favorevole a quella che qualcuno ha recentemente definito: "La vergogna del '900". In altri termini si accetta che il più innocente ed il più indifeso tra gli esseri viventi di questa terra sia sacrificato all'egoismo ed all'avidità. Non ci si può battere per i bambini iracheni e dimenticare che nell'edificio accanto avvengono degli aborti. Se si è uomini bisogna battersi per tutti i bambini, quelli nati e quelli che ancora devono nascere. Bisogna battersi per tutte le mamme: quelle in dolce attesa, quelle che una società malata votata al denaro spinge all'aborto, quelle che stringono al seno il loro figlio. Se a Palazzo Chigi hanno autorizzato un angolino per il Ministro dei Beni culturali, neo mamma, per consentirle di stare vicino al neonato, come non si può pensare a quelle donne che nel silenzio e nel dolore nei nostri ospedali si avviano ad abortire? Per tutti ormai, in questo Stato che chiamano assistenziale, c'è qualcosa: solo i bambini non ancora nati rimangono senza tutela. Lo Stato offre alle loro sfortunate mamme soltanto l'assistenza igienico-sanitaria per interrompere la vita. Ormai sono molti, fra coloro che nel Referendum di venti anni fa si espressero a favore dell'aborto, che hanno cambiato idea, alcuni di essi si vergognano.
Facciamo uno sforzo, tutti insieme, laici e cattolici, donne e uomini di buona volontà. Non chiudiamo il secolo ed il millennio con questa legge che dà solo alla madre il diritto di negare una vita che appartiene a tutti, all'umanità intera. Questa non è libertà. Torniamo alla speranza.
Alberto Berardi