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Le badanti che tutti vorrebbero.
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“Le razze esistono solo nella mente dei razzisti”. Questo, in pratica, dice Luca Cavalli Sforza, uno dei più grandi genetisti italiani, pluripremiato per le sue ricerche sulle migrazioni dell’uomo della preistoria sulla base dei gruppi sanguigni e del DNA. Siamo tutti discendenti di quelle scimmie, pelose e nere, che si sono “umanizzate” nel cuore dell’Africa e si sono diffuse lentamente nel mondo, diventando più bianche mentre salivano durante centinaia di migliaia di anni, in Europa e nel nord dell’Asia. I popoli, anche quelli col migliore pedigree, non sono “puri”. I Romani, ad esempio, erano figli di Latini, di Etruschi, di altri popoli italici, di Greci ed anche di genti di tutt’Europa, Asia e Africa, stante la comune pratica di portare schiavi a Roma: begli uomini (gladiatori, letterati, massaggiatori e medici dall’Oriente e dall’Africa) e soprattutto belle donne, utilizzate come ancelle tuttofare (dalla Dacia, dalla Mesia o dalla Tracia, all’incirca dalle attuali Romania, Serbia, Bulgaria, Moldavia e più su, dalla Bielorussia e dall’Ucraina). E le progenitrici delle attuali colf, anche allora più alte, bionde, e magari più belle delle latine, avranno pure contribuito a migliorare la “razza” dei Romani, bassetti e mori. Come pure hanno contribuito al sangue italiano i “barbari”, che periodicamente arrivavano dalle steppe dell’Asia, e poi gli Arabi, i cosiddetti “mori”, che invasero il sud d’Italia, e i Normanni, Spagnoli, Tedeschi, Austriaci, ecc., che ci hanno dominato fino ad anni recenti. Mussolini invece, con la scusa di “Faccetta nera, bell’abissina”, contribuì – se si può dire – a migliorare la razza etiope e somala, avendo i nostri soldati e coloni seminato progenie di sangue misto in quelle lande oggi, più che mai, desolate. Eppure paesi che da secoli sono multietnici e “mulatti” (un bel termine inventato dagli spagnoli per designare gli incroci tra bianchi e nere: cioè incrociati come i muli), ad esempio gli Stati Uniti d’America o il Brasile, hanno popoli tra i più vivaci, intelligenti e belli. Chi è tanto stupido da essere razzista a letto con Naomi Campbell, o da dare del “moretto abbronzato” a Obama? Molti popoli sono stati profughi e “clandestini” nella storia: gli Ebrei ad esempio, quando erano nella “cattività” babilonese o erano schiavi in Egitto. Ma lo dimenticarono presto, in 40 anni circa, quando conquistarono a fil di spada la “terra promessa” cacciando i legittimi proprietari. Tra i clandestini celebri, possiamo menzionare Giuseppe, Maria e il bambinello che fuggirono in Egitto (e per fortuna non furono ricacciati nel deserto del Sinai). Più o meno extracomunitari furono anche molti dei primi martiri della Chiesa cristiana, a partire da S. Pietro (Paolo fu trattato un po’ meglio avendo i documenti in regola). Anche il nostro S. Terenzio, nel suo piccolo, veniva dalla Pannonia (l’attuale Ungheria) e non fu trattato bene dai pesaresi dell’epoca: non solo perché straniero, ma perché di un’altra fede religiosa, all’apparenza molto più integralista di quella dei romani. A differenza degli Ebrei mangiavano il maiale sì, questi cristiani, però facevano strani riti nutrendosi di “corpo e sangue” del loro fondatore e, soprattutto, non obbedivano alle leggi vigenti in tutto l’impero che chiedevano di venerare l’imperatore come un dio. Quanti extracomunitari e clandestini arrivarono poi in Italia nei secoli! Alcuni divennero persino papi, come un nostro compaesano di Urbino, Clemente XI Albani (i suoi discendenti, indiretti ovviamente, sono stati principi e conti, celebri anche a Pesaro) i cui avi erano albanesi. Il pesaresissimo Tommaso Diplovatazio, a cui è intitolata una via, letterato e giurista all’epoca degli Sforza, veniva dalla Croazia. Dalla Serbia, dalla Moldavia e dalla Turchia venivano invece le tante donne vendute ai marchigiani alla Fiera di Senigallia dove, fino all’inizio dell’Ottocento, si compravano a buon prezzo serve bionde e morette, alte o rotondette, silenziose e obbedienti (si potevano bastonare ed anche mutilare alla bisogna se, per esempio provavano a scappare). Mercanti schiavoni o turcheschi le compravano dai genitori poveri, le rapivano, le illudevano con il miraggio di una vita migliore, ma in realtà le vendevano, nell’odiosa tratta delle schiave del lavoro e del sesso, ai cristianissimi sudditi dello Stato Pontificio. “No problem”, tanto i venditori non facevano peccato per così poco, essendo musulmani e abituati a fare mali peggiori. Facevano peccato, molto probabilmente, quelli che le comperavano (a quante “padrone” di oggi, forse, non piacerebbe comprare la colf pagandola “una tantum”, dandole solo da mangiare, come a un cavallo, e poi rivenderla se non soddisfa o invecchia!), ma le autorità erano indulgenti e la polizia aveva già il suo da fare con rivoluzionari e carbonari. La tratta degli esseri umani non è di certo cessata oggi, anzi è più che mai attiva, ben controllata da mafie e mercanti di uomini di molti paesi e di ogni colore. A non volere regolare in modo civile e umano la migrazione degli uomini dai Paesi affamati a quelli ricchi, di chi ha la guerra e la fame in casa da decenni, di chi non ha la libertà neppure di opinione (figuriamoci la libertà di parola, di religione, di andare vestito in blu jeans o di non portare il velo, di sposarsi con chi si vuole) si fa solo un regalo ai mercanti di uomini, ai camorristi che li sfruttano, ai libici che fanno finta di fermarli in cambio di navi e autostrade. Eppure basterebbe applicare quanto scritto nella Carta dell’ONU o, per i difensori dei “valori cristiani” della nostra cultura europea, quanto è scritto nel Vangelo.
Luciano Baffioni Venturi
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