Gli ex-profughi bosniaci dei campi sloveni stanno diventando concittadini dell'Unione allargata. Era una notizia attesa da tempo, risultato di un lungo iter burocratico che non manca di rallentare il riscatto di un popolo messo in ginocchio dalla guerra civile. I giovani bosniaci, nati sotto le bombe o fuggiti all'annuncio di essere cresciuti in terre straniere sparse per il mondo, stanno finalmente avendo la loro opportunità. La Slovenia ha ospitato decine di campi profughi - e anche per questo è stata premiata con l'ingresso in Europa - riempiti da famiglie disperate. Ora i campi stanno chiudendo, non sarà facile per chi non si è costruito una nuova vita sociale: è il caso soprattutto degli anziani ma almeno la nuova generazione ha la possibilità di redimere il passato. Difficilmente la vita tornerà come prima, molti ormai tornano in Bosnia solo per il primo maggio, come in un nostalgico revival di qualcosa che non c'è più. Si torna tutti a casa, ci si rivede ma in vacanza; la quotidianità è altrove, verso l'Italia, le fabbriche dell'ambiziosa Slovenia, verso Austria e Germania. Per dimenticare forse va bene così, anche se le conseguenze a dieci anni di distanza sono ancora pesanti e per questo bisognerebbe riflettere a lungo su quello che succede durante e dopo la guerra, quanto tempo è necessario perché si torni alla normalità. Il 25 giugno prossimo dovrebbe chiudere un campo che sento un po' anche mio, quello di Ilirska Bistrica dove l'Associazione Ipsia di Pesaro per anni ha portato le sue risorse, iniziative e probabilmente anche i suoi effetti. La generazione dei giovani è ormai uscita dal microcosmo del campo profughi. Ringraziare i concittadini sarebbe un'inutile sottolineatura dell'ammirazione per quello che hanno fatto; meglio allora ricordare Dado, Miro, Amir, Sadmir e perché no, anche l'orcianese Davor che forse avrà anche l'occasione di leggerci…
Gianpaolo Capozzi
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