Emilio Antonioni, pittore di Fano
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L’artista nel ricordo di suo nipote
Caro Specchio della città, nel numero di gennaio 2001 Maria Tombari, col suo articolo “Camminando con Fabio Tombari” mi ha fatto rivivere emotivamente l'atmosfera della casa e del carattere di mio zio Emilio Antonioni, grande e sfortunato artista che nonostante le tante difficoltà è riuscito per tutta la vita a fare ciò che amava: dipingere, dipingere, dipingere anche senza colori sufficienti, anche sulle ghette dei commilitoni al fronte, grazie all'appoggio della sua consorte Regina Paci, la quale non disdegnava di impegnarsi nel lavoro di domestica a ore per aiutarlo a sostenere economicamente la famiglia.
La descrizione del suo ambiente di vita e del suo animo fatta da Maria Tombari: “…una stanza scialba, un uomo piccolo, magro, povero, con gli occhi bruciati dall'anima e dal sentimento… nature morte e marine appoggiate qua e là… i rifiuti delle tele e del legno scartati per terra… Si girò prese una marina e me la mise fra le mani!… Quell'uomo meschino solo nell'aspetto ma così grande invece interiormente”, mi commuovono, perché io, ragazzo di 10-15 anni (erano gli anni '50) li ho vissuti da vicino frequentando abitualmente la casa di mia zia “Gina”, partecipando con lei al lavoro del “ciacà màndul” e del “sbrucà i garagòj” e con zio “Milio” al suo lavoro di artista, quando mi pregava di fargli da modello per qualche particolare del corpo (mano–piede) nel suo alto rifugio, le cui finestre davano parzialmente sui tetti; quando mi mostrava i suoi lavori; quando aveva bisogno di un piccolo servizio perché doveva partire in bicicletta carico di materiale per andare a dipingere panorami e marine. Sollecitato spesso da zia Gina: “Dài Chico va su a veda cu fa lo zio Emilio” che lo incoraggiava sempre.
Quanto avrei voluto che tutti gli amici dello zio Emilio fossero come lei signora Maria Tombari! Quel regalo datole col cuore, è stato ricevuto con altrettanta passione da lei che col suo scritto (di cui mi permetto di ringraziarla io dato che i suoi figli Tullio e Vittorio sono mancati) lo ha degnamente onorato. Altri, purtroppo, quando venivano in visita si premuravano di razziare il più possibile quadri; così diceva mia zia, che si lamentava col marito perché - per carattere o per necessità - si lasciava troppo ingenuamente spogliare dei suoi lavori.
Ringrazio mia madre (sorella di Regina) perché nei momenti critici ordinava allo zio ritratti di tutti i componenti la nostra famiglia ed il poco di bene che lei riusciva a fare alla sorella ora si è tramutato in un grande valore affettivo per me! Ora che lo zio non c'è più fioccano i riconoscimenti per la sua arte. Certo sinceri e graditi ma ormai - come per tanti artisti - più “utili” forse per i vivi.
Federico Pizzicara
P.S. Per spiacevoli vicende sono andati perduti i due ritratti delle mie nonne: Cesira Paci (nata Pedinelli) e Palma Pizzicara (nata Viviani). Potrebbero essere finiti a Pesaro. Prego – tramite il giornale – chi li avesse di contattarmi! Grazie.
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