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Servizio d'Este-Gonzaga, Nicola da Urbino. Piatto dipinto con la storia di Apollo e Dafne (Victoria and Albert Museum, Londra).
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I simboli della duchessa
Isabella d’Este, donna di grande cultura vissuta tra il 1474 e il 1539, è stata tra le prime testimonianze femminili del suo tempo a coltivare interessi umanistici e ad incoraggiare le arti con un fecondo mecenatismo. Si attorniò di una corte di intellettuali alla quale appartennero Baldassar Castiglione, Ludovico Ariosto e Matteo Maria Boiardo. Sposò Francesco Gonzaga stabilendo una stretta alleanza con il ducato di Mantova e continui rapporti con quello di Urbino dove sua figlia Eleonora andò sposa a Francesco Maria della Rovere. Ciò favorì fecondi scambi culturali nonché la scelta di commissionare la realizzazione di un servizio di maioliche – che va sotto il nome d’Este-Gonzaga – ad uno dei più grandi pittori di ceramiche istoriate del tempo come Nicola da Urbino. Il servizio, databile attorno al 1525, è costituito da 21 pezzi tra piatti e coppe ed è decorato con storie mitologiche e allegorie ermetiche. Su ogni maiolica gli emblemi dei Gonzaga e degli Estensi si fondono in un’unica rappresentazione: uno scudo sorretto da putti. Gli emblemi di Isabella raffigurati sulle superfici istoriate, in modo tale da non interferire con il paesaggio, sono stati riportati dopo la morte del marito: il monogramma della duchessa composto dalle lettere (Y S), il suo motto: “nec spe, nec metu” (né con la speranza, né con la paura), il numero “XXVII”, con il probabile riferimento ermetico che trova analogia con il numero settantadue della medaglia di Galeazzo San Vitale ritratto dal Parmigianino. Il numero due richiama, nell’alchimia, la concezione dualistica degli elementi opposti e dialettici come il secco e l’umido, il giorno e la notte, lo zolfo e il mercurio, ecc. Il sette è il più importante dei numeri nella tradizione delle antiche culture orientali e appartiene ad una ricca serie di significati simbolici. Il fascio dei cartellini di ventura risponde al gioco della lotteria e quindi alla sorte o al destino come richiamo alla provvidenza in seguito alla morte del suo amato marito che viene richiamata con il rigo musicale, con quelle pause che avrebbero dovuto ricordare i sospiri della sua agonia. Altro simbolico riferimento è la presenza, nelle ceramiche, delle due lettere dell’alfabeto, l’alfa e l’omega che significano l’inizio e la fine. L’autore dell’Apocalisse attribuisce, in proposito, queste due lettere a Gesù Cristo: “Sono io l’alfa e l’omega” dice il Signore Dio. Si ritiene anche che queste lettere contengano la chiave dell’universo che sarebbe così racchiuso interamente entro queste due estremità intese come totalità dell’essere, del tempo e dello spazio. Il crogiolo con le verghe d’oro richiama il processo alchemico ai fini della trasmutazione dell’oro. L’athanor o crogiolo è lo strumento che indica in modo esplicito questa pratica ermetica. Il candeliere d’oro è il simbolo della luce spirituale, del seme della vita e della salvezza ultraterrena. L’albero d’olivo che lo sostiene fornisce direttamente l’olio necessario per alimentare la lampada e questa pianta si identifica con l’albero sacro delle religioni greca e romana. A proposito delle molteplici fonti iconografiche del servizio, due di queste fonti riguardano le “Metamorfosi di Ovidio”, poema mitologico del poeta latino scritto in 15 libri che trattano della fantastica trasformazione di 246 essere umani in piante, animali e minerali. Altri spunti, per le storie dipinte, sono attinti da un altro romanzo dell’immaginazione molto diffuso nella società umanistica del tempo: l’Hypnerotomachia Poliphili scritto da Francesco Colonna e stampato a Venezia da Aldo Manunzio nel 1499. Questi testi, di profondo spessore culturale e simbolico, contribuirono ad arricchire di sollecitazioni figurative il repertorio mitologico ed evocativo da parte di pittori, scultori e ceramisti fino ai giorni nostri.
Giuseppe Papagni
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