E' solo a partire dal 1968 che le università europee si sono fatte promotrici di studi interdisciplinari sull'omosessualità. Le ricerche scientifiche, sociologiche, psicologiche e antropologiche hanno cominciato ad interessarsi dell'omosessualità seguendo un rigore che, mai prima d'allora, aveva avuto un approccio così serio.
Il pregiudizio verso l'omosessualità ha condizionato e condiziona, anche se in misura meno rilevante, tutta la società attuale. Indagini condotte nel 1995 da chi scrive presso studenti di scuole superiori (Licei e Istituti Tecnici Commerciali) hanno messo in evidenza che è cambiata completamente la visione stereotipata del fenomeno rispetto alle generazioni che li hanno preceduti. Risulta infatti che il 64% del campione ritiene tale condizione "uno stato di identità sessuale"; mentre solo il 10,5% la definisce una "malattia" e il 12,8% ritiene che si tratti di una "devianza". Solo il 7,7% dei maschi considera l'omosessualità come una "perversione", contro il 15,4 % delle femmine.
In genere la domanda alla quale siamo chiamati a rispondere noi sessuologi è: "come si diventa omosessuali?". Questa domanda è quasi sempre legata ad un'altra, e cioè se l'omosessualità può essere guarita tramite una opportuna cura mirata. Questo perché la situazione è vista esclusivamente come malattia, oppure come variante deviata di un comportamento, quello eterosessuale, fatto coincidere con la normalità. Sono ormai diversi anni che l'O.M.S. (Organizzazione Mondiale della Sanità) ha cancellato l'omosessualità dall'elenco delle malattie psichiatriche. Quello che però può verificarsi è che lo stigma finisce per pesare sull'individualità del singolo al punto di far decadere l'autostima di sé che si determina per effetto della discriminazione; per cui l'omosessuale stesso giustifica la discriminazione cui è sottoposto, sviluppa cioè una sorda ostilità contro se stesso.
Diverse sono le teorie scientifiche circa l'origine e le cause dell'omosessualità. Seguendo la teoria endocrinologa, elaborata sin dagli anni ‘30, dopo che si isolarono e cominciarono a produrre ormoni sessuali, diversi endocrinologi vollero verificare se negli omosessuali fosse presente un basso livello di androgeni (ormoni maschili). L'esito fu negativo poiché si riscontrarono livelli maschili simili agli eterosessuali. Alcuni clinici a questo punto hanno somministrato testosterone (ormone maschile) agli omosessuali al fine di "guarirli". La conseguenza è stata quella di ottenere un potenziamento dello stimolo sessuale ma sempre verso soggetti dello stesso sesso. Un'altra teoria, quella genetica, ha messo in evidenza che non esiste alcuna differenza cromosomica tra omosessuali ed eterosessuali.
Dal punto di vista della teoria comportamentistica, l'omosessualità insorgerebbe allorché, all'interno di una famiglia, i genitori adottano metodi primitivi di repressione quando il bambino, come è naturale, manifesta la propria curiosità eterosessuale; oppure quando il ragazzo ha esperienze sessuali soddisfacenti con altri maschi. Anche questa teoria sembra però non avere alcun valore scientifico. Il problema è stato trattato fin dall'inizio del secolo scorso dalle Scuole psicoanalitiche che hanno elaborato diverse teorie. Per Freud l'attaccamento particolarmente intenso del bambino alla madre ed un rapporto disturbato con il padre debole, determinerebbe sensi di colpa tanto intensi da rendere impossibile i rapporti con altre donne. In pratica nelle relazioni omoerotiche l'omosessuale si identificherebbe inconsciamente con la propria madre. Le ultime teorie in campo psicoanalitico, per altro sempre più accettate, tendono a considerare l'omosessualità come forma della vita sessuale umana, presente in ogni tempo e cultura.
Un caso clinico da me seguito qualche anno fa riguardava una donna di 45 anni che era appunto venuta in terapia perché omosessuale e voleva conoscere i motivi di questo suo stato di identità sessuale per accettarlo serenamente. Ripercorrendo la sua storia personale si poté individuare che l'origine del suo stato era da imputare a cause di carattere ambientale. Infatti da bambina era stata molestata (non violentata) da una persona anziana ed aveva provato un enorme disgusto che, crescendo, le procurava una forte repulsione verso le persone di sesso maschile. All'età di 19 anni, tuttavia, ebbe una relazione con un cinquantenne che però non l'amava ma la "usava" per i propri desideri più infimi. Dopo queste esperienze ella si rivolse a persone dello stesso sesso perché, a suo dire, più tenere e dolci nel rapporto amoroso e sessuale: per cui, le donne, diventarono una scelta primaria per l'espressione della sua sessualità.
Alla domanda che spesso sentiamo rivolgerci, e cioè se dall'omosessualità si può guarire, ci sembra che la risposta più appropriata sia quella che l'unica cosa da cui si deve guarire è il pregiudizio.
Antonino Bentivegna